Jazz, donne e tanta ironia Il sabato italiano di Caputo

Il cantautore rivisita i suoi successi, pubblica un nuovo album, parte in tournée e si racconta in un romanzo

Jazz, donne e tanta ironia Il sabato italiano di Caputo

Ci sono dischi che restano nell'aria; non sono bestseller ma s'inchiodano nella memoria collettiva e vengono riproposti ciclicamente alla radio, in tv o dalle cover band. Ad esempio Un sabato italiano di Sergio Caputo, un album che compie trent'anni e da cui parte il rilancio del cantautore romano. Mentre sta preparando un nuovo cd, Caputo pubblica una curiosa versione di Un sabato italiano (con due inediti), il romanzo autobiografico Un sabato italiano memories (Mondadori, in libreria dal 16 dicembre) e parte per una serie di concerti (debutto proprio il 16 dicembre al Teatro Nuovo di Milano) con una big band jazz. Caputo è personaggio schivo («amo essere rappresentato dalla musica, non dal gossip») ma stavolta ha deciso di celebrare alla grande.
«Me la sono cercata, ho classicizzato Un sabato italiano riarrangiando le canzoni con fiati veri (mentre nell'originale erano fatti con il sintetizzatore) ed eliminando quei suoni elettronici, tipici degli anni '80, che oggi mi fanno rizzare i capelli in testa. È un disco jazz, o meglio pop jazz, il genere che meglio mi rappresenta». Così il ragazzino che si esibiva al Folk Studio di Roma, lanciato nel '78 da Vincenzo Micocci col singolo Libertà dove sei, torna a giocare tra presente e passato con le sue ironiche canzoni. «Quell'album non è mai passato di moda perché racconta storie vere. Le storie di un 30enne single, che faceva il pubblicitario e che passava dai cupi anni Settanta alla leggerezza degli Ottanta, che musicalmente non sono da buttare come pensano in tanti. C'era Bowie, Springsteen, la new wave inglese... Io ero una specie di vampiro, dormivo dalle 19 alle 23.30 e poi in giro tutta la notte con gli amici. Alle 3 del mattino ci trovavamo in un bar a giocare a Space Invaders. Quante partite con Benigni, e vinceva sempre lui. E poi quante avventure con le donne. Così le canzoni non sono nate da fatti di cronaca ma dalle emozioni, un po' alla Tom Waits che era uno dei miei miti».
Così, quasi per gioco, molla la pubblicità e diventa cantautore a tempo pieno con uno sviscerato amore per il jazz. «Ascoltavo tanto jazz strumentale e le canzoni di Cole Porter o Duke Ellington, e mi domandavo perché in Italia ci si ostinasse a fare cover di classici come My Funny Valentine. Così ho iniziato a scrivere brani di struttura armonica jazzistica con un pizzico di pop per modernizzarli e renderli più fruibili». Pezzi come Merci Bocù (scritto così), Bimba se sapessi, Citrosodina, Italiani Mambo, Il Garibaldi innamorato con la collaborazione di artisti come Tony Scott, ma anche dischi di jazz strumentale registrati in America come That Kind of Thing, che ha fatto rumore nel mondo dello smooth jazz. «A me piace fare anche musica per ballare e, come sostengo da tempo, torneranno sempre più in voga le sale da ballo in barba alle discoteche».
Ma Caputo ha avuto la fortuna di suonare con artisti come Dizzy Gillespie, il re del bebop. «Suona in due brani del disco Effetti personali e in uno canta anche lo scat. Nei tardi anni '80, mentre era in tour in Italia, lo contattai e gli chiesi se voleva lavorare con me. Mi disse di portargli una cassetta con i miei pezzi. Mise le cuffie del walkman, cominciò a battere il piede a ritmo e da lì capii che mi avrebbe accompagnato. Registrammo a Bologna e Barcellona: fu fantastico. Ma il suo manager non prese bene quelle interruzioni e una sera lo mollò da solo. Così mi trovai in una stanza d'albergo, alle 5 del mattino, con Dizzy in mutande che faceva la valigia e dovetti accompagnarlo alla stazione». Ha suonato anche con un pioniere dell'avanguardia come Lester Bowie («era nella band di Freddie Hubbard ma lui non voleva lavorare con i bianchi»), con Enrico Rava e con Richard Galliano, senza dimenticare di incidere i suoi inconfondibili dischi, da Italiani mambo a Storie di whisky andati per arrivare a La notte è un pazzo con le mèches del 2009. In mezzo 12 anni vissuti intensamente in America con la moglie. «Ho sposato una ragazza americana e mi sono trasferito lì. Anche lì quante esperienze con i musicisti di San Francisco. Poi suonavo una volta alla settimana al Top of the Mark, il più famoso grattacielo della città, e nei locali di North Beach dove s'è fatta la storia della Beat Generation. Poi sono tornato in Italia e ora ho una moglie bresciana meravigliosa e due figli piccoli».
Una vita artistica e movimentata per un cantautore atipico, spesso accusato di essere stato un militante di destra. «Ma io non parlo di politica, non mi interessa.

Ho vissuto 12 anni in Usa dove non ci sono gli estremismi italiani e dove c'è bipolarismo vero. Mi sono sempre opposto ai prepotenti, questo sí, a quelli che ti vogliono imporre la propria idea. La politica divide, la musica è nata per unire».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica