L'"America Latina" è qui. Ed è un film inquietante

I Fratelli D'Innocenzo si calano nella mente di un uomo turbato da una misteriosa scoperta

L'"America Latina" è qui. Ed è un film inquietante

Venezia. Misterioso è l'aggettivo che più ha accompagnato l'arrivo alla Mostra del cinema di Venezia di America Latina dei Fratelli D'Innocenzo. È stata diffusa una sola immagine della testa del protagonista sotto la doccia, niente trailer, niente sinossi, nessuna proiezione prima del festival per la stampa diversamente dagli altri quattro film italiani in concorso, niente di niente a parte la locandina che sotto il titolo riporta la frase: «È amore». Partiamo dunque da qui: «È il nostro modo di ricongiungerci con i nostri fantasmi, le nostre ossessioni, con una grandissima suspence, con un'incertezza sull'avvenire, con la dolcezza. Quindi abbiamo scelto il thriller psicologico per dare forma a tutte queste variabili impazzite. Ogni sentimento, per decollare, ha bisogno del suo contrario che lo sostenga e che lo contraddica perché la vita è fatta di contraddizioni. Ma è un film profondamente tenero», dice uno dei due gemelli, Fabio D'Innocenzo.

Sarà. Certo sono parole che un po' spiazzano perché il film racconta sì, da un lato, la famiglia del dentista Massimo Sisti che nelle terre della provincia meccanica della bonifica pontina a Sud di Roma, la Latina del titolo, trascorre un'esistenza nella quiete irreale di una villa architettonicamente sghemba insieme alla moglie Alessandra (Astrid Casali) e le figlie Laura (Carlotta Gamba) e Ilenia (Federica Pala). Ma, dall'altro, c'è il lato b, quello del protagonista, interpretato da Elio Germano, sconvolto da una scoperta nella cantina della propria casa. Il suo turbamento è così forte che gli impedisce di confessare l'accaduto anche alla famiglia. A questo punto l'assurdo si impossessa della sua vita e, di conseguenza, del film, visivamente incentrato sulla villa con piscina, con solo finestre a specchio e una stramba ed enorme rampa di scale: «Purtroppo per i proprietari questa casa esiste davvero - dice Damiano D'Innocenzo - un accrocco completamente sbagliato come un dente storto in bocca ma molto affascinante. Sapevamo che era un punto necessario come elemento visivo fondante perché esalta l'emotività e l'ambiguità del personaggio».

Naturalmente ci muoviamo nella rarefazione di un cinema originale che, alla dittatura della parola, privilegia quella delle immagini, grazie anche alla fotografia di Paolo Carnera e al preciso montaggio di Walter Fasano. Difficile spiegare, senza svelare troppo, quello che è un thriller dentro la mente ambigua di un uomo o, come giustamente dicono all'unisono i due gemelli registi, «più che un viaggio al termine della notte, un viaggio al termine di un uomo». Sentiamo allora Elio Germano: «Il mio personaggio è l'antitesi del macho e dell'uomo vincente, del potente conquistatore senza sentimenti perché funzionale a questo tipo di società dove contano solo i numeri e appunto i sentimenti non esistono perché non servono dato che non sono numericamente restituibili».

In uscita il 25 novembre nelle sale, America Latina è prodotto da Lorenzo Mieli per The Apartment, Vision Distribution e Le Pacte, ed è il terzo film dei gemelli che a 33 anni si trovano in concorso nel festival più antico del mondo. I due film precedenti, l'esordio La terra dell'abbastanza e Favolacce, erano stati al festival Berlino che curiosamente ha un ruolo anche in questo terzo lavoro perché - svela Fabio - abbiamo iniziato a scrivere proprio lì nell'attesa di sapere se Favolacce avrebbe vinto qualche premio (otterrà quello per la migliore sceneggiatura, ndr). In quel limbo, anche per sciogliere la tensione, abbiamo immaginato questo film che è meno episodico, vignettistico e frammentario del precedente. Una storia fortemente immersiva, tutta incentrata su un solo personaggio che, attraverso il suo punto di vista onnipresente, ci porta nelle sua mente».

Ma il film riesce a ritrarre con una delicatezza quasi fantastica anche il mondo femminile, quello della famiglia del dentista con toni e atmosfere che ricordano i ritratti del cinema di Sofia Coppola o di quello di Peter Weir di Picnic ad Hanging Rock: «Quello del femminile è il principale tema che volevamo esplorare. Cioè quanto l'amore riesce a rimettere a posto i pezzi, i vetri rotti della nostra esistenza.

Anche pensando all'amore non corrisposto, a quello platonico, fraterno, insomma a qualsiasi amore che riesca a far decollare la vita nel territorio in cui dovrebbe sempre essere per rendere il mondo più bello», dice Fabio che svela pure il loro ritorno sul set per la prima serie prodotta in Italia da Sky Studios dal titolo Dostoevskij «ma non fatevi ingannare, non parla dello scrittore».

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