In questo momento Maria Pia Ammirati è «titolare» di gran parte della nostra memoria video. Non solo è direttore di RaiTeche ma «da un mese sono anche il presidente di Cinecittà Istituto Luce», spiega lei da casa. Ha letto sul Giornale l'appello di Pupi Avati a un uso ancora più importante della cultura nei palinsesti Rai. Alla luce di questo momento così drammatico, la cultura in televisione può dare conforto e vicinanza ai telespettatori. «Credo che sia un appello importante, ci chiama a una riflessione su cosa può fare la cultura».
Maria Pia Ammirati parla con un accento rotondo e calibrato, il tono è calmo. «Talvolta la cultura è usata come una foglia di fico, altre no. Ma per me non è una parola singolare, è una plurale. Le culture. E io sono favorevole alla discussione e voglio aderire a questa chiamata alla riflessione». Poi però precisa che «la Rai propone già Rai 5, Rai Storia e altri canali che hanno un importante contenuto culturale. Posso accettare di discutere, ma credo che la Rai stia lavorando bene in questo senso». Di certo, lei è in una posizione che le consente di osservare da vicino l'immenso patrimonio culturale che la televisione di Stato ha accumulato in tutti questi decenni. «Siamo nell'agone, come direbbe Dante». E proprio a Dante Alighieri fa riferimento visto che oggi è la prima edizione del «Dantedì», dato che il 25 marzo è il giorno di inizio del viaggio ultraterreno del Poeta nella Divina Commedia. Una celebrazione che sarà tenuta ogni anno. Ma questa volta ha un significato particolare, se non altro perché arriva in una di quelle rare fasi storiche nella quale l'Europa è rimasta chiusa in se stessa, pedinata da un virus potenzialmente e concretamente mortale. Molti ripensano alla peste del Decamerone e, con molta più profondità, alla peste del Manzoni, quella che attraversa i Promessi Sposi ed è diventata uno dei paradigmi più assoluti di sempre nella descrizione di una pandemia, dei suoi effetti spirituali e sociali. «Proprio in questi momenti - spiega Ammirati - si capisce una volta di più che i giacimenti culturali racchiusi ad esempio in Rai Teche sono un punto di forza di tutti. I grandi broadcaster, le fondazioni, le cineteche ne fanno un riferimento. Questo è insomma uno dei momenti nei quali gli archivi sono fondamentali e noi, alla Rai, riusciamo a rintracciare e definire un profilo di italiano che parte dal Dopoguerra e arriva fino a oggi». Però bisogna fare un passo avanti, sempre. «Credo sia giusto dire che la cultura non può essere sempre appiccicaticcia ma debba rinascere, essere nuova ogni volta». L'esperimento si sta realizzando proprio con Dante Alighieri. «Abbiamo spezzettato Dante, lo abbiamo messo in forma di incursioni dantesche». Perciò non ci sarà soltanto il «Dantedì» ma «su Raiplay ci sarà un canto al giorno per i prossimi cento giorni». In questo momento, la Rai ha digitalizzato praticamente tutte le letture dantesche dei grandi del nostro spettacolo e della nostra arte. «Abbiamo messo in digitale tutte le letture di Sermonti e stiamo completando quelle di Benigni e Gassman, senza dimenticare quelle di Carmelo Bene».
In poche parole, uno sforzo enorme
che ha come obiettivo quello di rendere eterno anche il Dante recitato, non soltanto quello racchiuso nella Divina Commedia. Uno sforzo importante che conferma la funzione di servizio pubblico della televisione di Stato.
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