Vi ricordate qualche nome di disegnatori di francobolli? Gli amici filatelici mi perdoneranno ma è difficile che un talento riesca a imporsi a partire da un pezzettino di carta. Le dimensioni contano. Chi conoscerebbe Christo se, anziché sul lago d'Iseo, avesse steso una passerella colorata sulla piscina di casa? Le dimensioni ridotte dell'arte in quarantena fanno temere per le sorti dell'arte del dopo-virus. Molti hanno detto che la pandemia funziona da acceleratore di tendenze. Ma ancora nessuno ha fatto notare che l'accelerazione oltre che il campo economico, sociale, tecnologico, coinvolge anzi travolge quello artistico: il rimpicciolimento dell'arte italiana era già in corso, e il maledetto virus lo sta velocizzando. La nostra figurazione sta precipitando nel formato disegnino. Cosa potrà risollevarla? Il decreto Rilancio? Il ritorno delle Muse? Un discorso di Franceschini? L'ultimo numero del mensile Arte dà conto di alcune iniziative che tranquillamente definisco lillipuziane. Piene di buone intenzioni, chiaro, ma sempre lillipuziane. Colouring book di Milano Art Guide, che fin dal titolo sa di bricolage infantile, di asilo Mariuccia, ha sollecitato gli artisti a esprimersi su un foglio A4 (21 x 29,7 cm) e ne sono uscite operine mediamente rachitiche e al massimo carine (non certo quella del solito, ripetitivo Cattelan). Viaggi da camera della Fondazione Trussardi ha di buono il raro, in un mondo ovinamente anglofono, titolo in italiano, ma purtroppo nessuno degli artisti coinvolti (tantomeno l'onnipresente Cattelan) è Xavier de Maistre, e comunque il viaggio nella stanzetta può funzionare se rappresenta un'eccezione mentre se 1.000 o 10.000 artisti si trascinano tutti insieme fra letto e tavolino ecco che il povero fruitore si sloga la mascella o cerca orizzonti più vasti.
Il virus sembra un'ottima scusa per pensare in piccolo, evidentemente la giusta dimensione, la misura naturale per tanti creativi di casa o casetta nostra. Nei giorni scorsi si è parlato abbastanza a sproposito di liberisti da divano: sarebbe meglio parlare degli artisti da divano, i pittori-scultori-installatori che aspettano l'assistenza governativa e intanto miniaturizzano vocazioni già non gigantesche. Se per riempire il frigorifero si necessita dei 600 euri dell'Inps, l'ultimo librone di Tony Godfrey, L'arte contemporanea. Un panorama globale (Einaudi), è un acquisto impegnativo e però bisogna leggerlo per capire come sia difficile, quasi impossibile, risultare contemporanei e globali al di sotto di una certa estensione. Sfogliatelo con me: quella di Georg Baselitz è pitturaccia ma è 280 x 450 cm, il quadro di Emily Kame Kngwarreye è un groviglio primitivo ma è 291 x 801 cm, il pupazzo di Jeff Koons è puerile ma è alto 11 metri e mezzo, Donald Judd è un minimalista però di ingombro massimo, tant'è vero che neppure i musei riuscivano a esporre bene le sue opere, hanno dovuto usare una vecchia base militare in Texas... Mark Rothko l'aveva capito nel lontano 1943: «Siamo per il grande formato perché ha la potenza dell'inequivocabile». Invece gli artisti italiani si rinchiudono nel quadratino di Instagram. Il fenomeno delle dirette sui social viene ridicolizzato da un Giancarlo Politi per nulla addolcito dall'età, nella sua newsletter: «Artisti canuti e no, di buon lignaggio e anche di onesta carriera, vengono chiamati su Instagram dalla propria galleria oppure si autopropongono senza alcun ritegno, per spiegare a dieci o venti followers cosa è l'arte al tempo del Coronavirus...». È la fotografia di un mondo già piccolo e ora piccolissimo, pervaso da un'autoreferenzialità talmente spinta da somigliare all'autismo.
Con l'appendice grottesca delle iniziative Arte contro-Covid che prevedono la messa all'asta di microlavori di microvalore e microprezzo per fare microbeneficenza agli ospedali, quando tra i primi ad avere bisogno di beneficenza ci sarebbero proprio gli artisti, alle prese con un mercato in coma.
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