Giochi d'ombra. Maigret è avvolto dalle atmosfere cupe dell'infernale Quinlan ma, almeno lui, è buono. Ha i soliti grattacapi, una ragazza morta e non se ne conosce motivo né provenienza. Sarà il commissario più famoso di tutta la Francia a sbrogliare il brogliaccio. Citazione d'antan. Orson Welles, un maestro. Lui, il regista Patrice Leconte, presenta la «sua» creatura, affidata ai panni sapienti di Gerard Depardieu, nell'uscita al cinema domani in 170 copie in tutta Italia. Non ci sarà un sequel. «Non amo la serialità e detesto la cronofagia. I miei film durano poco, un'ora e mezza, e c'è tutto quel che ci deve essere». Maigret in realtà resta al di sotto del tetto, un'ora e 28 minuti. E asciutta è pure la sceneggiatura, solo le parole necessarie. Anche la logorrea viene messa al suo posto, complice un protagonista che della recitazione conosce ogni segreto. «Non conoscevo Depardieu, non avevo mai lavorato con lui. Ora è nata un'amicizia sorprendente di quelle che fanno bene al cuore».
Dirigere i superlativi può essere facilissimo, basta intendersi. E Leconte ha scoperto le carte, ammettendo di non voler fare molti ciak. Laconico, Gerard si è detto d'accordo. «Sul set rideva e scherzava, fino a un attimo prima delle riprese. D'un tratto si trasformava in Maigret. Stemperare è il suo modo per concentrarsi sul personaggio. Un attore vero».
L'unico sequel sarà con lui. «Mi chiede sempre di non dimenticarlo ma sono io a non dimenticare le sue parole alla fine delle riprese. Grazie a tutti, negli ultimi tempi ho girato film, ora ho fatto cinema. E sul prossimo set, completamente diverso da questo, sarà ancora con me».
In realtà all'orizzonte spuntano due idee, una ancora top secret affidata a Depardieu, l'altra dedicata a Louis Braille, l'inventore della scrittura per non vedenti. «Una storia, non un biopic» e sarà girata nei primi mesi del 2023. L'attualità resta Georges Simenon, uno dei più prolifici romanzieri francesi. «Al liceo quando incontrai per la prima volta il professore di filosofia, ci disse che avremmo passato tempo con Cartesio, Kierkegaard, Hegel e Kant ma il più grande di tutti era lui. Simenon», ricorda Leconte.
Il suo Maigret risente degli influssi di questo giudizio. In fondo, La giovane morta, più che un giallo, è uno studio di caratteri e personaggi. E il commissario non è solo Simenon. «Ci ho messo molto di mio e della mia vita. In fin dei conti, se i film non fossero personalizzati pezzi della nostra vita diventeremmo soltanto puri illustratori». Per adattare un libro ci sono consigli da non sottovalutare. «Bisogna leggere il romanzo anche cinque volte ma poi, a fine lettura, va nascosto sotto il materasso e mai più riguardato. Ebbene, io ho fatto proprio questo».
Degli altri Maigret che hanno popolato cinema e televisione, come quello interpretato da Jean Gabin nel
'58 in Francia e l'indimenticabile Gino Cervi in tv tra il '64 e il '72, Leconte ha un ricordo pallido. In qualche caso è solo nebbia, come nella versione italiana. Suonerà strano ma questo Maigret è il nuovo che avanza.
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