Quando il rosso sipario della Royal Opera House di Muscat si alzerà sul palazzo del Duca di Mantova, l'emozione del pubblico, dei cantanti, degli artisti (e in seguito anche della platea televisiva) avrà un sapore del tutto unico. Sarà quella, infatti, l'ultima «Prima» firmata Franco Zeffirelli. L'ultima volta che uno spettacolo inedito, concepito e realizzato dal grande regista - scomparso il 15 giugno 2019 - farà il suo debutto assoluto.
Al Rigoletto verdiano che il 20 gennaio esordirà nel teatro dell'opera della capitale dell'Oman (e che il 28 Rai 5 manderà in onda in prima serata) Zeffirelli aveva iniziato a lavorare molti anni fa. «L'aveva concepito fin nei minimi dettagli, scenografici e registici racconta Umberto Fanni, direttore artistico del teatro arabo -. Non era però riuscito a portarlo in scena; e l'aveva così accantonato. Quando si prospettò l'ipotesi che proprio Franco celebrasse con una sua nuova produzione i dieci anni di vita della Royal Opera House, che lui stesso aveva inaugurato nel 2011 con una storica Turandot, venne naturale pensare a quel Rigoletto mai dimenticato e rimasto incompiuto. Franco lo riprese in mano e, con l'aiuto del suo aiuto regista Stefano Trespidi, lo ultimò proprio poco prima della sua scomparsa. Gli promisi allora che avremmo fatto di tutto per portarlo in scena. Ci siamo riusciti. Questo spettacolo, dunque, rappresenta l'ultima sua regia; il suo lascito estremo e definitivo».
Per realizzare questo sogno postumo, che a giudicare dai bozzetti sembra unire, secondo lo stile delle ultime realizzazioni zeffirelliane, la sapienza delle ricostruzioni tradizionali all'uso di materiali insolitamente moderni, e che come sempre promette fasto visivo e alta spettacolarità, non s'è badato a spese. Oltre alla stessa Royal Opera House di Muscat hanno dovuto coprodurre la Fondazione Arena di Verona e il Lithuanian National Opera and Ballet Theatre; i costumi sono stati disegnati dal due volte nominato all'Oscar Maurizio Millenotti; il ruolo del titolo è stato affidato a colui che oggi è quasi il Rigoletto per antonomasia, Leo Nucci, affiancato da due talentuosi giovani applauditi al Rossini Opera Festival di Pesaro, Giuliana Gianfaldoni (Gilda) e Dmitry Korchak (il Duca), e dalla presenza come guest star, nel ruolo del conte di Ceprano, del celebre basso Kurt Rydl. «Ma fra l'emozione che tutti proveremo la sera del 20, la mia sarà del tutto particolare confessa il direttore d'orchestra Jan Latham-Koenig -. La prima opera che vidi da bambino, nel 1964 al Covent Garden di Londra, fu proprio Rigoletto. La regia era di Zeffirelli. E il Duca di Mantova era un giovane tenore semisconosciuto. A chiedergli l'autografo fummo soltanto in tre. Si chiamava Luciano Pavarotti».
Non stupisce che ad accogliere l'ultima fatica del grande artista fiorentino sia un teatro straniero, tanto lontano culturalmente quanto geograficamente: tutta la carriera di Zeffirelli ha avuto una caratura internazionale, «e quando nel 2011 lo scomparso sultano Qaboos bin Said Al Said propose al celebre regista italiano d'inaugurare il suo nuovissimo teatro dell'opera, l'unico di tutto il Golfo Persico, singolare fusione di stile arabo tradizionale e architettura contemporanea racconta Fanni - lo fece per costruire, proprio con la musica, un ponte fra i nostri due paesi. Allora l'Oman non aveva una cultura operistica; ciò che soprattutto attirava gli spettatori arabi era la grandiosità del melodramma, il suo impatto spettacolare. Ora la situazione è cambiata; la conoscenza musicale si è approfondita, l'incremento degli spettatori omaniti agli spettacoli targati Italia è in continuo aumento».
La parola d'ordine di tutta l'operazione doveva essere ancora, dunque, italianità.
Italiani tutti gli artisti e le maestranze, quasi duecento persone che si trasferiranno in massa nel paese arabo; italiana la creazione di scene e costumi, realizzate fra Verona e Roma e stipati in ben nove Tir («Ma ci siamo contenuti: per la Turandot del 2011 furono 24!»); italiane anche le presenze che arricchiranno le danze del Perigordino, nel primo atto, eseguite in scena dall'ensemble d'archi dei celebri Solisti Veneti, e danzate dal Gruppo «Il Leoncello» di Alessandro Pontremoli.
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