"Con Liberace parte l'ultima fase della mia vita"

Il premio Oscar Michael Douglas: "Ho battuto il cancro e ora vediamo come andrà a finire..."

Michael Douglas nel ruolo di Liberace
Michael Douglas nel ruolo di Liberace

Los Angeles - Lo spettacolo di un ossigenato Matt Damon che possiede da dietro un tinto e rifatto Michael Douglas in un parossismo di passione omosex nel film Dietro i candelabri (in uscita il 5 dicembre) è da annali del cinema. Va dato atto al regista Steven Soderbergh e ai due divi americani di aver avuto coraggio. Douglas interpreta l'effemminato showman Liberace, il pianista di origini polacco-italiane (Vladizu Valentino Liberace, per gli amici Lee) morto di Aids nel 1987 a 67 anni, un personaggio rimasto scolpito nella memoria come incarnazione del kitsch e dell'esagerazione (le pellicce di ermellimo, i candelabri sul piano pitonato e così via). Ma anche una figura un po' patetica, cimelio d'altra epoca, oggi bersaglio di affettuose prese in giro. Liberace aveva sempre negato di esser gay, ma ogni suo gesto suggeriva il contrario. Era un'epoca meno tollerante quella in cui ebbe successo, tra gli anni '50 e '70, e il suo essere absolutely queer non avrebbe fatto oggi il medesimo scalpore. Douglas, in ottima forma fisica a 69 anni, è spettacolare nel ruolo del voracissimo, sessualmente parlando, Liberace. Damon non sfigura in quello del giovane amante Scott Thorson, dalle cui memorie il film è ispirato. Douglas ha vinto il premio Emmy per questa sua interpretazione. Per lui recitare Liberace e abbandonarsi al bizzarro estremo è stata una sorta di liberazione, dopo il cancro alla gola (o alla lingua?), ora sconfitto, gli alti e bassi con la moglie Catherine Zeta-Jones (affetta da sindrome bipolare), e l'angoscia di vedere il suo primogenito Cameron, 34 anni, finire in galera per traffico di metanfetamina (ci rimarrà dieci anni). Lo abbiamo incontrato a Los Angeles (ma vive a New York e alle Bermuda).

Mr. Douglas, come è scaturita l'idea di un ritratto di Liberace?

«Nel 2000, sul set di Traffic, Soderbergh mi disse: “Ti piacerebbe recitare Liberace?” Mi scattò la paranoia perché temevo mi stesse provocando: stavo recitando in maniera molto rigida il magistrato anti-droga in Traffic e forse lui intendeva dirmi: sciogliti un po' figlio mio, lasciati andare! Invece aveva visto in me delle capacità di cui nemmeno io sapevo. Fatto sta che la pulce nell'orecchio ce l'ho avuta da allora».

Lei ha detto che questo ruolo è stata una benedizione. Si spiega?

«È stato un dono calato dal cielo, davvero. Mi ha aiutato a superare un momento difficilissimo per me, col cancro, la chemio e tutto quanto. Un regalo come fu Qualcuno volò sul nido del cuculo nel 1975, quando mi venne affidata la produzione e vinsi il mio primo Oscar (ne ha vinto un altro come attore per Wall Street nel 1989, ndr), il film che ha lanciato la mia carriera. Strano: prima come produttore e solo dopo come attore. Insieme a Gordon Gekko di Wall Street credo che Liberace rimarrà tra i miei due o tre ruoli chiave. Sarò eternamente grato a Steven e Matt per questo film. Matt si è lasciato baciare in bocca in maniera oltremodo naturale. Non avevo idea se avrei potuto farlo con un uomo».

C'è chi dice: ma perché non scritturare attori gay invece di due maschi eterosessuali come voi?

«Domanda sbagliata: bisogna saper recitare, non essere. Anche un vero gay avrebbe dovuto far finta di essere altro da sé con Liberace. Sono polemiche senza senso. Comunque Liberace era un maschio Alfa pure lui, un leader dolcemente predatore, uno che piaceva pure alle donne».

Baciare un uomo non l'ha dunque infastidita o imbarazzata?

«Come dicevo, con Matt ci siamo trovati benissimo. C'è una scena in cui Matt esce dalla piscina col suo piccolo Speedo e si stende sopra di me: non sapeva ancora che io gli avrei agguantato le chiappe e gliele avrei strette. È avvenuto tutto con spontaneità. Ho canalizzato lo spirito di Liberace. Ma no, non sono passato dall'altra parte, se proprio lo vuole sapere».

Ha ancora voglia di recitare?

«Più che mai. Aver sconfitto il cancro per me ha significato la fine del secondo atto della mia vita.

All'improvviso sto facendo un sacco di film e sono molto eccitato e mi sento pieno di vita. Problemi ne ho tanti, chi non ce li ha? Ma per me il lavoro è sempre stata la terapia migliore. Scopro dunque di essere all'inizio del mio terzo atto. Sono curioso di vedere come andrà a finire».

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