Per dirla a modo suo, Fabri Fibra è tanta roba. E il nuovo cd è tanta roba sorprendente. Uscirà martedì prossimo, raccoglie musiche e basi cercate in mezzo mondo, tra le canzoni spuntano anche le voci di Elisa e di Neffa ed è l'album delle convergenze parallele già dal titolo: Guerra e pace. Ossia il mondo senza sfumature: bene e male, dentro e fuori, passioni e cinismo. La realtà su due binari. Insomma, un altro Fibra, il Fibra reloaded. Dal botto del disco Tradimento (2006), le sue rime sono entrate nel linguaggio di tutti. Ora entrano a muso duro nella sua anima: e illuminano il rapper più voracemente curioso in circolazione.
Fabri Fibra, al liceo se nomini guerra e pace viene in mente Tolstoj.
«Io sono ignorante e non ho fatto l'università ma cerco di recuperare. Dopo 15 mesi in tour per Controcultura, sono tornato a Milano. Avevo la testa piena di colori ma Milano era grigia. Ho iniziato a guardare film in bianco e nero, poi ho letto Tolstoj e mi sono fermato sulle pagine in cui il principe Andrej di fronte alla morte dice: bisogna vivere. Lì è nato il primo brano del disco, Bisogna scrivere, per il quale ho mutuato una parte del ritornello di Baudelaire dei Baustelle».
Complicato.
«In quel momento ho capito che sarebbe stato un disco personale».
Sorpresa: il principe degli accusatori che parla di sé.
«Prima, forse per una forma di insicurezza, ero troppo aggressivo e mi sono fatto fraintendere».
Però il rap è sempre stato percepito come protesta.
«Ennò, all'inizio non era così. Ad esempio per Afrika Bambataa era anche intrattenimento e inno all'amicizia».
Difatti il singolo Pronti partenza via e Ring ring (probabile prossimo singolo) sono meno «frontali» del solito.
«Era ora di cambiar direzione».
Oltre a Neffa, c'è pure il duetto con Elisa in Dagli sbagli si impara.
«Elisa è l'artista che piace a me: quando ha qualcosa da dire, incide un disco. Altrimenti fa la sua vita. Non vive per il mercato».
Fibra, però talvolta le sue battute sono feroci: come quelle su Arisa senza trucco o sulla tinta dei capelli di Ligabue.
«Sono battute che spiegano situazioni e stati d'animo. I riferimenti ad altri artisti, come quello che feci su Marco Mengoni tempo fa, servono a scatenare voi giornalisti» (sorride).
Difatti c'è un brano che si intitola Non credo ai media.
«L'unico modo per confrontarsi con i media è provocarli. E così, dopo gli Onda Rossa Posse e Frankie Hi Nrg, canto anche il mio perché i media non sono credibili».
Mica sono gli unici.
«Figurarsi.
Nell'ultima intervista a Vanity Fair ho detto che non voto e non ho neanche il certificato elettorale. Non ha fiatato nessuno, tantomeno i politici, che dovrebbero essere molto interessati a dichiarazioni del genere. Ma in Italia, si sa, loro vivono lontano dalla realtà».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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