Bellissima, sensuale, determinata e innamorata pazza. Questa fanciulla sarebbe una consorte incantevole se non avesse un grande difetto, davvero insormontabile: essere molto morta. Non che lei se ne faccia un problema, a giudicare dal fatto che sono almeno cinquecento anni che si intestardisce a farsi sposare da malcapitati passanti. La storia, l'avrete capito, è quella de La sposa cadavere, il sempreverde film d'animazione di Tim Burton uscito nelle sale nel 2005 e ancora capace di destare l'entusiasmo di adulti e piccini, come testimonia la scelta di Netflix che a partire da lunedì 1° febbraio l'ha inserito tra i titoli a catalogo. Non è però alla fortunata pellicola in stop-motion, vincitrice nel 2006 dell'Oscar, a cui dobbiamo la creazione delle lugubri vicende, perché sono cinque secoli che il racconto viaggia da un paese all'altro in una serie di rielaborazioni. La matrice originale è di ambiente ebraico e attribuisce le vicende della giovinetta morta e del suo inconsapevole promesso sposo a una autorità intellettuale, il rabbi Isaac Luria, raffinato cabalista nato a Gerusalemme nel 1534 e attivo nella città di Safed, nella Palestina ottomana. I suoi insegnamenti teologici sono traditi dai suoi allievi ed è appunto nel testo Shivhe ha-Ari (Lodi del Leone, uno dei suoi soprannomi sotto forma di anagramma) che è presente la prima attestazione della leggenda. Nella versione ebraica, la capricciosa fidanzata non è una ragazza defunta prima dello sposalizio, bensì una figura sovrannaturale dai connotati demoniaci che si insinua nella vita dell'innocente giovanotto con una sorta di ossessione diabolica.
Con tutta evidenza la fiaba nera penetra in Europa dal Medio-Oriente attraverso la cultura ashkenazita, è cioè quella degli ebrei dell'Europa Centro-Orientale o tedeschi, dato che l'inquietante sposa fa la sua comparsa in numerose rivisitazioni russe (i progrom antisemiti le danno nuova linfa) e in seguito in Germania. A queste tradizioni si innesta poi la variante greca che risale a Flegone di Trailles, vissuto nel II secolo d.C.: è a questa che ha attinto Johann Wolfgang Goethe per la sua Fidanzata di Corinto, una ballata macabra scritta in versi nel 1797 che mostra una splendida revenante dall'erotismo nemmeno troppo velato. Il testo conosce varie traduzioni italiane tra cui l'illustre interpretazione di Benedetto Croce, pubblicata nel 1918 sulla rivista La Critica. Altro rifacimento germanico degno d'attenzione è quello di August Schulze, sempre della fine del XVIII secolo. Il racconto è inserito nella raccolta di storie prodigiose (cioè gotiche) Fantasmagoriana che raggiunge la fama nella sua trasposizione francese ad opera del geografo Jean-Baptiste Benoît Eyriés, agrimensore al servizio di Napoleone che nei momenti di relax si dilettava a tradurre libri singolari. La celebrità di questa edizione è legata soprattutto alle cosiddette Notti di Villa Diodati, il periodo che trascorsero insieme sul Lago di Ginevra nella terribile estate del 1816 Lord Byron insieme a John William Polidori, Percy e Mary Shelley. Il gruppo, bloccato nella residenza a causa del maltempo, scovò nella biblioteca della villa il volume che il curatore aveva indotto a credere fosse frutto di reali esperienze spiritiche e non semplice fiction: i protagonisti iniziarono così ad avere allucinazioni spettrali, complici anche il vino e l'oppio.
Lette ad alta voce le storie si esaurirono presto e fu allora George Byron a lanciare una sfida, chiedendo ai presenti di scrivere pagine d'orrore.Nacquero in tal modo Il Vampiro di Polidori e il Frankenstein o moderno Prometeo di Mary Shelley, il primo romanzo di fantascienza della letteratura.
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