"Lockdown all'italiana": incerto e maldestro come i tempi che viviamo

Enrico Vanzina racconta la convivenza forzata, durante il lockdown, di persone appartenenti a coppie "scoppiate". La commedia becera declinata ai tempi del Covid e perchè vederla

"Lockdown all'italiana": incerto e maldestro come i tempi che viviamo

Tra le uscite al cinema di questa settimana, gli occhi sono puntati su "Lockdown all'italiana" di Enrico Vanzina, non certo per la qualità del film, quanto per le polemiche che lo hanno preceduto. Condannato a priori da molti per il presunto cattivo gusto di lucrare su una tragedia ancora in essere, il film non manca di rispetto ai morti e ai malati di Covid, semmai alla definizione stessa di cinema.

Roma, 8 marzo 2020. Due coppie arrivano al capolinea proprio il giorno in cui il governo sancisce il lockdown: nel centro storico, gli altoborghesi Giovanni (Ezio Greggio) e Mariella (Paola Minaccioni), avvocato e consorte, che conducono un’esistenza lussuosa; in periferia, in un modesto appartamento, il tassista Walter (Ricky Memphis) e la commessa Tamara (Martina Stella). A intrecciare i destini nelle due abitazioni è la liason tra il ricco di mezz'età e la giovane coatta. La convivenza forzata tra ex sarà dura.

"Lockdown all'italiana" nasce animato da una moltitudine di buone intenzioni, purtroppo naufragate. La sciatteria, al netto delle bellissime riprese di una Roma deserta, è imbarazzante: mariti e mogli che si raccontano (a favore di pubblico) che mestiere fanno, chat fatte scorrere sul cellulare con gesto ostinatamente inverso a quello giusto e così via. In mezzo a sketch pieni di corna, parolacce e amplessi mancati, è ardua la scelta dell'incursione più stridente tra quelle dal registro "tragico": il mini-monologo introspettivo di Ezio Greggio, l'esecuzione del brano triste al piano mentre la Stella piange in bagno e la Minaccioli sospira col capo chino sulla bandiera, il finale in cui un doppio sguardo in camera annuncia la lotta di classe come forma di sopravvivenza.

Dichiarare di avere avuto come riferimenti cinematografici "Perfetti sconosciuti" di Genovese e "Carnage" di Polanski è un autogol che, nella sua ingenuità, dimostra la buona fede di Vanzina. Così come la bella frase di Prevert posta ad apertura del film, "Bisognerebbe tentare di essere felici, non fosse altro per dare l'esempio", che non si amalgama con il girato a seguire, restano estranee e aggiunte in maniera posticcia anche le numerose citazioni nostalgiche di un cinema fatto di Sordi, Gassman e di una commedia all'italiana che non solo non c'è più, ma di cui è ricordata l'assenza proprio in un film che non ha la statura di definirsi neppure commedia. La stessa riflessione nasce nella scena in cui il regista rende omaggio a "Sapore di Mare" dello scomparso fratello Carlo, titolo immortale del cui finale si vorrebbe a tratti emulare (con esito disastroso) la sottile malinconia.

Girato in appena 26 giorni e a basso budget (meno di un milione di euro), "Lockdown all'italiana" altro non è che una sequela di prevedibili e già viste schermaglie di coppia. Non gioca a favore la presenza di Ezio Greggio nei panni di protagonista, a sigillo della "comicità" datata Anni 80 del film. Quanto ai suoi compagni di set, le grazie della procace Martina Stella sono già a portata di click su Instagram, la brava Paola Minaccioni si rinnova con verve, mentre Ricky Memphis è sempre lo stesso ma appagante.

Non si ride che per un paio di battute, non ci si commuove, non si riflette; eppure, con buona pace dei tanti "detrattori a prescindere", l'esordio alla regia di Enrico Vanzina, sceneggiatore di lungo corso, è un instant-movie che, indipendentemente dal suo basso standard qualitativo, è destinato a restare. Confezionato in fretta e furia nella finestra di ottimismo che è stata l'estate scorsa, sospesa tra la prima e seconda ondata del virus, "Lockdown all'italiana" immortala, a modo suo (inteso come cinematograficamente indifendibile), un'esperienza senza precedenti e che ha accomunato l'intera nazione. Vedere sfilare sul grande schermo il riassunto di situazioni che già sono divenute luoghi comuni quando si parla di confinamento, oggi può sembrare superfluo, ma negli anni futuri testimonierà, a grandi linee, una quotidianità stravolta da DPCM sempre poco chiari, mascherine, autocertificazioni, allenamento casalingo, videochiamate, parrucchieri chiusi, passeggiate col cane e file al supermercato. Forse è presto e intempestivo tentare di sorridere di qualcosa che sembra stia per tornare, ma questa istantanea filmica, per quanto parziale, arruffata e scadente, non è l'operazione senza senso e addirittura delittuosa additata da tanti già alla vista della locandina.

Alla luce dell'incerto futuro che ci aspetta, vale la pena regalarsi, magari in compagnia, la visione di un film che, nella sua pochezza un po' volgare, somiglia a tanti altri visti, come rito di massa, in tempi festosi e oggi lontani.

Perché l'innegabile pregio di "Lockdown all'italiana" è proprio questo: mantenere una certa spensieratezza, relegando la grande paura, di allora e odierna, a motore narrativo e null'altro. Difficile riuscire a farlo nella realtà, giusto provarci al cinema.

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