Di regola i propositi di un politico, anche se vergati nero su bianco prima di assumere responsabilità di governo, sono talmente viziati dalla rincorsa del consenso da risultare, quanto meno, poco credibili. Non appena poi passa dalle parole ai fatti, deve fare i conti con la realtà e allora la lista delle promesse eluse si fa in genere piuttosto lunga. Ora, se è vero che la strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni, basti averne di cattive per esser sicuri di sprofondare nel male, talora nella barbarie. Ha questo di specifico il Mein Kampf: di essere, oltre che un manifesto politico pensato per propagandare una visionaria, farneticante, eppur straordinariamente seduttiva "teoria nazionalpopolare": quasi un vademecum delle future realizzazioni che il nazismo al potere si incaricherà di realizzare. Non tutto quel che Hitler indica negli anni della cospirazione come impegno sarà rispettato. A esempio, si guarderà bene il Führer dal tradurre alla lettera la sua promessa di impostare "la politica territoriale dell'avvenire" ponendo termine "all'eterna marcia germanica verso il sud e l'ovest dell'Europa" per una precisa "spinta verso est" ("Drang nach Osten"). Rivolgerà, infatti, le armi innanzitutto contro la Francia e l'Inghilterra. Stupisce, però, la luciferina lucidità con cui nel complesso anticipa la direttiva di marcia che seguirà una volta conquistato il potere.
Innanzitutto, la guerra dichiarata al giudeo, per debellare "il pericolo ebraico": punto centrale della dottrina della razza. Infarcito di concetti esoterici e teosofici, con aperti richiami all'occultismo, il programma d'azione indicato da Hitler nel 1925, quando è ancora solo un predicatore fanatico peraltro già passato dalle parole ai fatti con il famoso "Putsch di Monaco" e per questo finito in galera, è esposto con un piglio di inesorabilità che non lascia margini di dubbio sulla consequenzialità con cui lo tradurrà in pratica. "L'ebreo - scrive sulla falsariga dei Protocolli dei Savi di Sion, notoriamente costruiti su documenti falsi - non interromperà mai per spontanea rinunzia la sua marcia verso la dittatura mondiale... proseguirà... finché si opponga a lui un'altra forza la quale, in una formidabile lotta, respinga a Lucifero colui che dà l'assalto al cielo".
La guerra all'ebreo non è fine a se stessa, ma funzionale ad un disegno più ambizioso teso a conquistare per la Germania il suo Lebensraum (spazio vitale) e conseguentemente ad affermare il dominio della razza ariana, prima sull'Europa, in prospettiva sul mondo intero, e con ciò a realizzare "il destino storico" del popolo tedesco.
Fissati i fini, il Mein Kampf non manca di indicare i mezzi. Non serve "una grande intellettualità dei singoli membri", sul modello dei partiti ideologici trionfanti fino alla prima guerra mondiale, ma "una disciplinata obbedienza presentata dai membri alla direzione intellettuale". Insomma, si propone "il partito caserma", arma irrinunciabile per un dittatore.
Il disegno tratteggiato da Hitler nel 1925 potrebbe apparire il parto di un'allucinazione, se non fosse che è destinato ad essere attuato quasi alla lettera. Il libro riscuote subito un grande successo di pubblico. Vende 241mila copie nei primi sette anni e raggiunge cifre astronomiche (un milione nel solo 1933, anno della conquista del Cancellierato da parte del dittatore in pectore) senza tener conto delle copie cedute gratuitamente dallo Stato ai soldati al fronte e a ogni nuova coppia di sposi, secondo un piano di sistematica incorporazione del popolo tedesco nell'universo totalitario nazista.
Si può ben capire a questo punto come il Mein Kampf sia assurto nell'immaginario collettivo dell'Europa liberata dal nazismo a libro nero da bandire dall'orizzonte dei democratici: vera "Bibbia laica" (significativamente nel 1930 venne pubblicato nel formato 12×18,9 centimetri, lo stesso normalmente adoperato per il testo sacro) dell'ideologia più terrificante del Novecento, destinata a fungere da scontata lettura d'obbligo per ogni aspirante nazista perché ne riceva il doveroso indottrinamento. Alla fine della guerra milioni di esemplari del Mein Kampf finirono al macero come molti altri simboli del nazismo. È stata la Baviera da allora a detenere i diritti d'autore dell'opera, fatta eccezione per il mercato inglese ed olandese. Questa resta la situazione sino al 31 dicembre 2015, allo scadere dei 70 anni dalla morte dell'autore, quando viene meno il copyright.
In Germania è sempre valso il divieto di distribuire il libro eccetto che in specifiche circostanze e fino al gennaio 2016 non è stata pubblicata un'edizione seriamente commentata. Lo stesso bando del Mein Kampf è stato decretato, con qualche eccezione, in tutta Europa, Paesi comunisti compresi. Diversamente, negli Stati Uniti il Mein Kampf si può acquistare sia nelle librerie che via internet, con un buon riscontro di pubblico. Se ne vendono più di 15mila copie ogni anno. In Austria e in Israele sono categoricamente proibiti sia la vendita che il possesso del libro, così come in Cina e, finché c'è stato il comunismo, in Russia, fatta eccezione per i membri del Pcus. Una storia a parte è quella del libro nel mondo arabo, dove l'antisemitismo funge da propellente all'odio contro Israele. Qui il Mein Kampf non solo è in vendita ma è anche molto richiesto.
In Italia, infine, la prima edizione risale al 1934, immediatamente dopo la conquista del potere da parte di Hitler. Compare per i tipi della casa editrice Bompiani, ma solo dopo che il ministero degli Esteri si è addossato le spese dei diritti d'autore. Seguono sino al 1943 numerose ristampe.
Caduto il fascismo, invece, bisogna aspettare il 1970 per la prima ristampa nelle edizioni Pegaso. Il Mein Kampf è stato poi pubblicato dalle Edizioni di Ar e, in versione commentata per la cura di Giorgio Galli, dalla Kaos Edizioni.
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