La "lumaca" che correva a scrivere lettere da ogni parte del mondo

Lento nella stesura dei libri, l'autore inglese dava il meglio di sé nelle missive agli amici

La "lumaca" che correva a scrivere lettere da ogni parte del mondo

Oggi celebre per la sua narrativa di viaggio, cosmopolita e classicista, Patrick Leigh Fermor (1915 - 2011), era soprattutto uno spirito inquieto con insondate profondità, l'erudito vagabondo e pellegrino che amava le donne e il mondo classico in egual misura. Elegante e seducente, dotato di un fascino disarmante e misterioso, spesso ricordato per il suo snobismo e superficialmente descritto un playboy e un gigolò, Leigh Fermor, «Paddy» per gli amici e gli ammiratori, placava i propri demoni con la passione travolgente per le parole.

Uno scrittore meraviglioso, ma non sempre grande, se nei suoi libri ossessivamente riscritti e corretti poteva scivolare in una prosa troppo elaborata. Non così nelle lettere, tutte scritte a mano e di getto per correre in tempo alla posta, come dice il titolo della raccolta ora pubblicata a Londra dall'editore John Murray: Dashing for the Post: The Letters of Patrick Leigh Fermor (pagg. 459, sterline 30), curata con grande sensibilità da Adam Sisman, già biografo di James Boswell e recentemente di John Le Carré.

Sembra che di lettere Paddy ne abbia scritte circa diecimila. Sisman per questo volume ne ha rintracciate 176 sparse in sei Paesi, inviate dal 1940 al 2010, al circolo incantato degli amici. Lunghe pagine che pur nell'immediatezza della prosa conservano il garbo del mondo di ieri che Leigh Fermor tanto amava e che riscattano la sua vera natura confermandone l'esuberanza, la curiosità inestinguibile, l'invidiabile dono per l'amicizia. Nell'insieme, una testimonianza che completa i suoi libri e che ne illustra il rapporto tormentato con la scrittura, ostaggio com'era dell'ossessivo perfezionismo e della tendenza a procrastinare. Le Monde, ansioso di recensire il suo viaggio in Transilvania e nei Balcani, lo chiamava con ironia «l'escargot des Carpathes», la lumaca dei Carpazi.

A incoraggiare il suo prepotente bisogno di scrivere era stato Harold Nicholson, il quale nel 1950 aveva recensito L'albero del viaggiatore, sul suo viaggio nei Caraibi, esaltando «uno stile davvero eccellente che unisce le qualità architettoniche del francese classico con l'esuberanza della tua stirpe celtica». Invitandolo tuttavia a essere meno sventato, a pianificare la stesura di un libro, a dargli una forma. Dei clamorosi ritardi sapeva qualcosa il fedele editore John Murray che ancora oggi pubblica i suoi libri. Gli occorsero decenni per terminare due volumi della trilogia sul suo viaggio a piedi da Rotterdam a Costantinopoli compiuto nel 1934, appena diciottenne; il primo e più celebre Tempo di regali uscì nel 1977, seguito da Fra i boschi e l'acqua, ma, pur soffrendone, non riuscì a finire il terzo, La strada interrotta, uscito due anni dopo la morte a cura della sua biografa Artemis Cooper.

Le lettere qui scelte non parlano degli anni della guerra e dell'operazione che Paddy comandò nell'isola di Creta occupata dai nazisti per catturare il generale tedesco Heinrich Kreipe (con il quale trovò il tempo di condividere l'amore per le Odi di Orazio che si era portato nello zaino). Lo troviamo, invece, nomade di natura e sempre più a disagio nella grigia Britannia del dopoguerra, viaggiatore instancabile per l'Europa, prima di stabilirsi ormai cinquantenne in Grecia nella penisola di Mani, nel basso Peloponneso. Sempre alla ricerca del ritiro ideale per scrivere, lo seguiamo mentre svolazza da un castello in Normandia a una fortezza aragonese in Italia, da un'abbazia in Francia a un altro castello in Irlanda. Nel '48 scrive lettere dall'abbazia di Saint-Wandrille che diventerà il centro delle sue riflessioni sulla vita monastica in A Time to Keep Silence.

Nella corrispondenza esprimeva tutto se stesso: «le lettere più dei baci uniscono le anime», scriverà citando il poeta John Donne al suo primo amore, la principessa Balasha Cantacuzeno in Romania. Ci furono tanti amori, come quello con Ricki Huston, la quarta moglie di John Houston, e con Joan Rayner, figlia del primo Visconte Momsell, conosciuta al Cairo durante la guerra: attraente, enigmatica, solitaria e appartata, ignorava le meschine gelosie sessuali e, come Paddy, poneva l'amicizia sopra ogni cosa. Fin dal primo momento Joan fu la donna della sua vita, la compagna inseparabile e infine la moglie. A lei non nasconderà i frequenti momenti di malinconia e depressione.

Sempre coniugando leggerezza mondana e profondità intellettuale, Leigh Fermor tenne per tutta la vita una vivace corrispondenza con amicizie femminili, come Lady Diana Cooper, moglie di Duff Cooper, Ann Fleming, moglie di Ian, Freya Stark, due delle celebri sorelle Mitford, Nancy e Debo duchessa di Devonshire. Sarebbe sciocco negare il suo interesse romantico per l'aristocrazia, osserva Sisman, ma era uno snobismo innocuo: Paddy stava bene con tutti, nei caffè del Peloponneso come nelle dimore patrizie inglesi. Non cercava il lusso, in lui prevaleva il desiderio di divertire e di divertirsi, come confessa ad Ann Fleming di ritorno da una crociera su uno yacht di Stavros Niarchos: «a bordo un inferno, nessun contatto fra gli ospiti, conversazioni sconclusionate, scherzi forzati, pasti sontuosi a tutte le ore ma scombinati... Perché diavolo non si divertono di più con tutti i loro soldi?».

Corrispondeva sia con Ian Fleming, Cyril Connolly, Lawrence Durrell, sia con gli intellettuali greci conosciuti ad Atene, il poeta George Seferis, il pittore Niko Ghika, il letterato George Katsimbalis con il quale si scontrerà durante l'emergenza di Cipro negli anni '50, vissuta male da Paddy, diviso fra lealtà all'Inghilterra e affetto per la Grecia. Istintivamente conservatore vecchia maniera, Leigh Fermor non prendeva posizioni politiche.

Negli anni '30 in giro per la Germania aveva disprezzato i nazisti per la loro rozzezza e l'antisemitismo, e nel '67, durante il regime dei colonnelli nell'amata Grecia, scrive a Joan di essergli contrario, «soprattutto perché chi lo vuole è la gente che qui mi piace di meno».

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