Arbore: "Mai più questa tv. Io da grande voglio fare l'artista"

Esce il cd con atmosfere swing di Renzo Arbore. "Tornare sul piccolo schermo? Solo per fare qualcosa che mi piace molto"

Arbore: "Mai più questa tv. Io da grande voglio fare l'artista"

È dall'era del bianco e nero che Renzo Arbore vive di sfide. Nel 1970 mise in mezzo uno tosto come Claudio Villa rischiando di mandare in frantumi lo studio di Speciale per Voi. Quel giorno Renzo sudò freddo. Persino il look è sempre stato poco allineato. Anche a costo di patire i 28 gradi all'ombra con la preferita giacca Armani di velluto bordeaux. Sgambetti di una sfinente ottobrata nella sede romana di Eataly, l'eccellenza enogastronomica ieri apparecchiata per stanare il genio pugliese.
Arbore ha appena pubblicato per la Sony Music il ritorno swing, My American Way (Ma con le classiche canzoni italiane...) 15 brani con gli Arboroginals (tra cui My Clarinet e The Matress, versioni rivedute de Il Clarinetto e de Il Materasso) per uno che ha sempre sognato di fare il crooner, di fare l'americano. «È un peccato che i giovani non sappiano che è esistito Sinatra, Nat King Cole. Lo dimostra la riscoperta dei vari Bublè, Jamie Cullam, Diana Krall». Negli Usa li chiamano «evergreen», lui «brani della memoria» che sussurra come da manuale. Tiene a tramandare l'eccellenza musicale italiana. Consiglia di cominciare l'ascolto da Anema e Core. «Ogni volta che la sento mi fermo, quant'è bella sta canzone, eh?...». Gli piacerebbe che all'estero dicessero “perbacco che bella musica” e gli piacerebbe che cominciassero ad ascoltare Battisti, Dalla, De Gregori, De Andrè. «Sono loro i nuovi Foscolo, andrebbero tradotti a scuola».

Gli piace molto raccontare la nuova creatura, che è costata un anno di lavoro. «Mi sono sempre occupato dell'altro, oggi si fa solo musica hard, assordante, eccessiva. Invece io ho scelto un suono soft, da condividere con una persona, magari di notte, con un goccetto di whisky: smorz'e lights». Si sa, dentro quell'uomo in velluto rosso dall'aria matura batte un cuore giocoso, è la sua forza dirompente. «Ancora mi chiedo cosa farò da grande e, da quando ho 14 anni, rispondo sempre: l'artista!». E qui casca l'asino. Da 30 anni Arbore è abbonato alla stessa domanda: Ma quand'è che ti decidi a tornare in tv, magari non all'una di notte?. E anche stavolta risponde gentile senza banalità. «C'è stato un perido in cui non mi chiamava più nessuno, non mi si filavano. Pensavo di essere passato di moda, può succedere. E invece ora i direttori di rete mi contattano regolarmente, ma ci devo pensare». Frassica sarebbe sempre la spalla ideale, niente di meglio sul mercato. «Sì, Nino è uno dei pochi rimasti, capaci di improvvisare, in realtà ci sarebbe anche Fiorello». Si vabbè, ma Nino? «A Indietro Tutta Frassica dal nulla si inventava battute micidiali...». Ma indietro non si torna, la storia televisiva è già stata raccontata. «Anche perchè i palinsesti di oggi pullulano di professionisti che leggono alla lettera i copioni, nessuno che improvvisa più; io facevo jazz».

Guardare avanti, va bene, ma fino a un certo punto. «Oggi in tv è tutta una rissa verbale, una fast-tv, dura una settimana e poi scade». L'antidoto ci sarebbe. «IO ho il mio filtro d'autore in Raistoria, un canale che mi piace, ha i tempi giusti per fatti riflettere». Speriamo bene. In Rai hanno già affossato un'altra delizia arboriana: Rai International. «Quando c'ero io quel canale andava benissimo e infatti l'hanno chiuso. E pensare che doveva far conoscere la migliore Italia nel mondo. Avevo pure scomodato Severgnini per fargli fare la rubrica Italians, peccato». Che delusione questa tv, fortuna che la tecnologia porta allettanti alternative. «Per ora preferisco dedicarmi al web con il mio canale www.renzoarborechanell.tv curato dall'esperta Monica Nannini (la conduttrice con Gegè Telesforo del glorioso Doc). Arbore andrà in tournée quest'inverno con la sua Orchestra Italiana. Quante ne ha combinate in giro per il mondo: New York, Toronto, Londra, Caracas.

«Un giorno finimmo per suonare in un paesino, non ricordo più il nome, pieno di leghisti; allora pensai che quella volta ci avrebbero fatti neri. Così, da vero paraculo che sono, iniziai a insultare pesantemente i miei musicisti meridionali. Sfaticati, loro. Fu un successone, applausi straordinari». Troppo modesto, Renzo.

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