"Mariupolis 2" racconta il vuoto della guerra dove vince solo la paura

Il regista Mantas Kvedaravicius è morto per realizzare questo documento shock

"Mariupolis 2" racconta il vuoto della guerra dove vince solo la paura

Cannes. Non resta che un pugno di niente. Tra le macerie di Mariupol non c'è nulla che inviti alla vita. Uomini e cani sopravvissuti hanno sguardo e voce da randagi. Tristi vagabondi del nulla senza l'unica casa, distrutta da bombe, figlie di velivoli minacciosi. I giorni hanno il sapore amaro della morte che incombe. Il rumore cupo degli ordigni che esplodono. Il pianto strozzato dei superstiti che si radunano a pregare. «Chi non si rivolge a Dio non viene risparmiato» dice uno di loro. Hanno il futuro dietro le spalle e un presente di cenere.

«Vattene a casa» ordina un soldato a una donna. «L'unica che avevo me l'avete distrutta» risponde la poveretta. Occhi sbarrati verso una pentola arrostita. Su un fuoco alimentato da brandelli di legno, rubato a cumuli di distruzione.

Mariupol sta in queste parole che fanno rima con quelle di un vecchio. «Ho vissuto per costruire e vedo tutto andare in rovina. Sono diventato vecchio per assistere alla morte dei giovani». La guerra santa di Putin contro i «nazisti» è quella che devasta gli indifesi. Li distrugge come fossero nemici armati, mentre a loro non resta che fare amicizia con due gabbiani, uno bianco e uno nero, sfrattati dal cielo.

Sanno che nelle loro autostrade di vento corrono uccelli più grandi di loro. Più cattivi. Più rumorosi. Fame di morte che non si accontenta di un pesce, pescato tra onde bizzarre. Beccano briciole di tristezza. Offrono speranze di felicità irraggiungibile. Mariupol è morta. Viva Mariupol. Ma a chi appartiene Mariupol Ai russi. Alla disperazione. Ai cani senza casa. Agli uomini senza futuro. Ai morti di ieri, oggi. E sempre. Ai colori sbiaditi della fine. A quelli impalliditi dell'angoscia. Alle ruspe che prenderanno il posto degli invasori. A tutto questo mescolato e amalgamato che assomiglia a un pianeta smembrato.

Gloria all'Ucraina. Cannes le dedica una giornata. Il ricordo. Est-Ouest, omaggio in serata proiettato sulla spiaggia, è stato preceduto in mattinata da Mariupolis 2, un documentario costato molte vite. I protagonisti caduti sotto gli ordigni. Il regista. Mantas Kvedaravicius non è riuscito a compiere 46 anni. L'hanno ucciso il 4 aprile e, come sempre, la dinamica è poco chiara. Da organizzazioni umanitarie sembra sia stato catturato e poi assassinato dagli occupanti. La vedova Hanna Bilobrova sapeva che il marito era stato colpito allo stomaco ma quando è stata condotta davanti al corpo non c'era foro di proiettili. E nemmeno sangue versato. La sua è una morte di serie B. Una di quelle derubricate alla casella «indesiderata» dalla società civile 2.0. Quella che conosce i like ma non il cuore. Usa i simboli ma non il rispetto. Si alimenta di ignoranza e cerca di propagandarla travestita da ragioni disumane.

Kvedaravicius - laureatosi con una tesi di dottorato su «Sogni e morte nei conflitti in Cecenia» - girava film in parallelo alle sue conquiste archeologiche e agli studi antropologici. In Mariupolis 1 aveva ritratto la città sotto gli attacchi delle truppe separatiste, tra il 2014 e il 2015, quando il mondo non si era reso conto che il Cremlino faceva sul serio. E ha lasciato fare.

È stata necessaria anche la sua fine perché fosse chiaro che non si stava giocando a soldatini.

Mariupol non è una città fantasma. È stata colpita a morte. La conquista russa ha il tanfo dei cadaveri di chi non ce l'ha fatta. Seppelliti a mani nude da chi è rimasto. Non ha vinto nessuno. Ha perso l'Uomo.

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