La Maschera unisce Napoli e Africa

La band suona un miscuglio di pop e di folk alla Eugenio Bennato

Angela Lonardo

La musica napoletana 3.0 ha i suoni dei La Maschera, cinque ragazzi, figli della periferia, conservatori reazionari, con una mano tesa alla tradizione e l'orecchio verso l'innovazione. «La band nasce senza aspettative, con un incontro casuale tra me e il trombettista Vincenzo Capasso» spiega Roberto Colella, cantante, chitarrista e autore del gruppo. L'anno è il 2013 ed ai due si aggiungono Antonio Gomez (basso), Marco Salvatore (batteria) e Alessandro Morlando (chitarra solista). Il loro nome intende omaggiare le opere pirandelliane e Eduardo De Filippo, ma è scelto anche per essere in contrasto con ciò che suonano: i giovani musicisti, animati dalla voglia di cambiamento e convinti che la musica possa risvegliare le coscienze, con i loro testi impegnati e al contempo leggeri smascherano i tanti vizi e difetti dell'Italia e della Napoli di oggi. E si schierano a favore di un Sud che va valorizzato. Il tutto con un sound sperimentale, che oscilla tra la canzone d'autore in dialetto e il folk-rock di Eugenio Bennato e del primo Pino Daniele. Affidandosi all'etichetta indipendente Full Heads, hanno esordito nel 2014 con O vicolo e l'alleria, quaranta minuti di storie dove i protagonisti sono l'amore, il dolore, la loro terra. Il primo singolo Pullecenella è stato un successo, con un videoclip che ha fatto il boom di visualizzazioni su YouTube.

Prima di girarlo Roberto aveva in tasca un biglietto per Praga: «Dovevo partire per l'Erasmus, ma ho stravolto i miei piani». In tour nella penisola, sono al lavoro sul secondo disco: «Sarà una fotografia dei miei ultimi due anni, uniremo l'Africa e Napoli».

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