Questa mattina, alla kermesse cinematografica della capitale, è stata la volta di una delle anteprime stampa più attese: quella del nuovo documentario di Michael Moore, "Fahrehneit 11/9".
Con il consueto linguaggio schietto e sardonico, il Premio Oscar descrive, a questo giro, le dinamiche politico-economiche che a suo parere hanno condotto, in data 9 novembre 2016, all'elezione di Donald Trump come 45esimo Presidente degli Stati Uniti.
Un'opera anticonservatrice, in cui si alternano in maniera confusa analisi e denigrazione e in cui, sebbene a essere presa di mira sia l’attuale amministrazione USA, non vengono risparmiate pesantissime critiche anche alle altre forze politiche.
Il prologo, va detto, è folgorante e spassoso: un rapido montaggio dei momenti salienti relativi all'attesa della proclamazione, in cui i sostenitori di Hillary Clinton appaiono sicurissimi dell'imminente vittoria. Allo spoglio dei voti il sottofondo è di musica requiem e l'inaspettato ma ormai incontrovertibile successo dei repubblicani arriva sulle note di "Ridi Pagliaccio". Fino a qui siamo nell'ordine della provocazione sarcastica e scappa il sorriso.
Dopo la comparsa del titolo, la voce fuori campo di Moore snocciola in maniera irresistibile tutti i possibili "colpevoli" dell'elezione, dai russi alla popstar Gwen Stefani, ma il divertimento ha i minuti contati. I toni si alzano a ritmo vertiginoso. Quando definisce Trump "narcisista malefico che si prende gioco dei Media", non c'è più traccia di satira ed è l'inizio di una sequela di accuse e insinuazioni assai serie. Trump è indicato come autore di nefandezze variamente assortite, dall'aver "proposto la pena capitale per cinque ragazzi di colore innocenti" all'essere ossessionato da fantasie incestuose nei confronti della figlia Ivanka. Quella che Moore chiama "Trumplandia" viene dipinta come fondata sul razzismo e sulla misoginia. Quando lo sguardo abbandona temporaneamente la figura del Presidente, è solo per denunciare crimini, o supposti tali, di ampia portata: in particolare ci si sofferma su quanto avviene nella cittadina di Flint e che Moore non esita a chiamare "pulizia etnica al rallentatore". Per farla breve, un governatore politicamente vicino a Trump avrebbe fornito acqua avvelenata alla popolazione, in maggioranza povera e afroamericana, un po' col movente del razzismo, un po' con quello dell'avidità. Ma vittima politica dell'affaire Flint è finito anche Obama: presentatosi in loco come il salvatore, avrebbe invece certificato la potabilità dell'acqua e autorizzato, in seguito, esercitazioni militari in mezzo ai cittadini.
Moore ne ha per tutti e, anche se non vede nei Media i fabbricanti di fake news indicati da Trump, ritiene che i maggiori organi d'informazione siano conniventi delle classi ricche. Si occupa poi di denunciare come la democrazia su suolo statunitense fosse già compromessa quando le primarie incoronarono Hillary candidata democratica al posto di Sanders.
Il capolavoro, però, si raggiunge nell'insistito parallelo tra l'ascesa di Hitler e quella di Trump, (addirittura in un filmato il Fuhrer viene doppiato dall'attuale Presidente degli Stati Uniti).
Il declino della società a stelle e strisce, a detta di Moore, è imputabile in parte anche al modo in cui vengono trattati gli insegnanti, sottopagati e costretti a umiliazioni come quella di veder legata l'assicurazione medica al risultato del contapassi. Rimanendo nel settore scuola, il regista accenna alle stragi compiute da studenti e sembra riporre speranze nel movimento politico che ne è sorto: quello di giovani che combattono contro la lobby delle armi.
Insomma, i 120 minuti di "Fahrehneit 11/9" costituiscono un calderone in cui confluiscono temi scomodi, calunnie, sorrisetti, iperboli, sdegno e chi più ne ha più ne metta.
Sarà interessante (o forse no) ascoltare il regista di cotanto collage durante l'incontro ravvicinato con il pubblico previsto nel pomeriggio di oggi.
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