Si scrive di ciò che si conosce. Naturalmente, non si contano gli autori che hanno contravvenuto a tale principio, facendo dell'opposto una norma fondante della loro poetica. Virginia Woolf, molte delle cui opere si ambientano più nelle paludi del cuore che in veri e propri luoghi fisici, ha però sempre avuto un rapporto privilegiato con la sua città, la metropoli moderna per eccellenza, quella Londra a cavallo tra i secoli Diciannovesimo e Ventesimo dal cui fermento trasse la forza per affrontare i drammi di una vita talmente dura da decidere di porvi fine con un tuffo in un fiume del Sussex nel 1941.
Londra (Bompiani, pagg. 188, euro 12, traduzione di Mario Fortunato) è la raccolta completa di saggi, articoli e memorie londinesi della grande autrice. «Probabilmente nessuno si è mai appassionato tanto a una matita. Tuttavia, ci sono circostanze in cui possederne una può diventare desiderabile sopra ogni cosa». Si apre così il primo testo del libro, «Per le strade di Londra», datato 1927, una descrizione illuminante della città in cui Virginia Woolf era nata nel 1882 e che, una quindicina d'anni prima del suicidio, era divenuta un modello d'urbanistica e convivenza sociale per l'intero pianeta, con il suo sviluppo rapidissimo post-Rivoluzione Industriale. Sorprende come un testo lieve e breve come questo possa fare ancora da guida a chi si avventuri per le strade del centro.
Si potrebbe obbiettare che alcuni di questi scritti sono un esercizio di stile e pare che Doris Lessing stessa li abbia considerati tali, ma la forza delle parole della Woolf è già presente, come testimoniato da «Vecchio Bloomsbury», saggio del 1922, fondamentale per capire la sua scoperta del signorile quartiere di Bloomsbury, fulcro letterario e artistico della città nella prima parte del Novecento e sede del noto Bloomsbury Group. «E che cos'è Bloomsbury? (...) quello straordinario vortice dove le persone più disparate si ritrovavano momentaneamente insieme. C'era Augustus John, dall'aria sinistra... Winston Churchill, tutto rubicondo... C'era Bertie Russell, del quale si diceva che Ottoline fosse innamorata.
E sopra tutto e tutti, c'era Ottoline stessa». Gli scritti raccolti in Londra, in buona sostanza, ci restituiscono una Woolf più propensa a un tono sbarazzino, come indicato dall'incipit di «Tuoni a Wembley»: «È la natura a rovinare Wembley».
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