Da Muti fino alla Fenice: il Capodanno firmato Italia

Il Maestro a Vienna richiama Rossini e Verdi. A Venezia Myung-Whun Chung celebra "il centro mondiale del canto"

Da Muti fino alla Fenice: il Capodanno firmato Italia

Il capodanno in musica più famoso che vi sia? Nessun dubbio. Parlano i numeri: 50 milioni di spettatori appiccicati al piccolo schermo in 93 Paesi, più il sigillo di un'incisione live (cd e dvd) per Sony . È il concerto nella Sala d'Oro - di nome e di fatto - del Musikverein di Vienna, un evento musicale che l'orchestra dei Wiener Philharmoniker ha saputo trasformare in un fenomeno dal forte impatto mediatico, ritorno finanziario e d'immagine. Wiener, insomma, maestri anche nel conciliare le ragioni dell'arte con quelle del botteghino: con i diritti tv campano per un bel po'. Del resto, sono un ente privato, e l'esposizione ai rischi e pericoli imprenditoriali acuisce l'intelligenza.

Per quest'ultima edizione, i Filarmonici di Vienna sono riusciti a strappare un sì, forse l'ultimo, al direttore d'orchestra Riccardo Muti, l'hanno assai corteggiato, ma dall'alto dei 47 anni di collaborazione con i Wiener, 50 dal debutto di carriera, 8 alla testa della Chicago Symphony e 20 al timone del teatro alla Scala, eccetera eccetera, ha accettato sì di salire su quel podio e per quell'occasione, tuttavia per la quinta e forse ultima volta. L'avvio dell'anno nuovo - ci spiegò Muti in novembre - lo vorrebbe trascorrere in famiglia. Perché il concerto da Vienna è un evento spumeggiante, ma per gli artisti è fatica pura. «Devi andare a letto presto, studiare pezzi nuovi» e poi c'è la responsabilità di firmare un evento seguito da milioni di persone: cosa difficile da dimenticare quando sali sul podio e impugni la bacchetta. «Il minimo errore non rimane circoscritto alla platea della sala. Il programma, poi, non è semplice come si crede. I valzer spesso sono virtuosistici, i corni molto esposti...» (Muti). Ma chissà, forse il Maestro ci ha ripensato. Ora sembra meno convinto dell'addio al concerto da Vienna. Quella macchina perfettamente oliata che sono i Wiener, condotta dal pilota-Muti, è stata impeccabile come sempre, dopotutto il direttore pareva anche divertirsi. I Wiener un po' teutonici, un po' goderecci, con quelle esitazioni sornione (tecnicamente «rubati») che solo loro riescono a rendere così, hanno fatto scorrere fiumi di champagne musicale. Dunque polke, valzer, frammenti da operette, un repertorio, perlopiù degli Strauss, che è groviglio di morte e di vita, fatti d'effervescenza macchiata dalla malinconia per la consapevolezza che l'impero asburgico è prossimo alla fine.

Al concerto austriaco, dal 2004 l'Italia risponde con fragranze operistiche: il concerto dal teatro la Fenice di Venezia, anch'esso in scena sul piccolo schermo, in diretta su Raiuno, ovvero in anticipo sulla messa in onda in differita del concerto da Vienna su Rai 2. V(ienna) vs V(enezia)? Era la polemicuccia di questi giorni. Per noi conta che il capodanno 2018 abbia parlato italiano. Muti ha instillato anche uno spirito latino nel concerto d'Austria. Ieri scorreva un fiume carsico italiano. Ecco l'Italia del William Tell Galopp, particolarmente applaudito, e de Un ballo in maschera Quadrille: pagine degli Strauss ispirate a Rossini e a Verdi. A metà del programma, spunta un'icona della nostra letteratura medievale con l'Ouverture to Boccaccio di Franz von Suppé.

Il Concerto dalla Fenice di Venezia, alla sua quindicesima edizione, è stato affidato alla direzione di Myung-Whun Chung, che nell'augurare «Buon Anno» ha ricordato che Venezia e il suo teatro sono i più belli del mondo. E l'Italia «il centro mondiale del canto». Per questo erano protagoniste arie, passi corali e ouverture da Gioachino Rossini a Georges Bizet fino a Giacomo Puccini. Solisti, il soprano Maria Agresa e il tenore Michael Fabiano. Una bella vetrina per la Fenice e ancora prima per Venezia che ha spalancato alcuni dei più bei palazzi, Ca' d'Oro, Ca' Giustinian e Ca' Rezzonico, ospitando le danze del Corpo di ballo dell'Opera di Roma con le stelle Eleonora Abbagnato e Benjamin Pech. A Venezia s'è aperto con la vitalità debordante del Preludio di Carmen di Bizet: gioia di facciata considerando che l'opera chiude con la morte della protagonista.

Stesso discorso per il finale: Va pensiero, canto d'un popolo oppresso che invoca la patria sì bella e perduta, e Libiam dai lieti calici dalla Traviata, altra tragedia per musica. Come a Vienna, anche nella laguna le bollicine d'inizio anno ricordano che la musica è vita e in quanto tale fatta di goliardia e di lutti, di vette e precipizi. Offre voli ma plana sulla terra.

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