Nella casa bianca di Eileen Gray la modernità è in riva al mare

La villa costruita dalla designer irlandese a Cap Martin era amatissima da Le Corbusier. Un gioiello oggi visitabile

All'inizio della vita dell'irlandese Eileen Gray (Enniscorthy, 1878 Parigi, 1976) c'è un quadro. Lo ha dipinto Wyndham Lewis, si intitola Portrait of a Lady with a French Poodle e la ritrae seduta con in grembo un cagnolino, il biondo dei capelli, lo sguardo assorto. Come Eileen, Wyndham è stato un allievo della Slade, la scuola d'arte per eccellenza di Londra, e poi, entrambi ventenni, si sono ritrovati a Parigi, dove lei frequenta l'Académie Julien e lui la scorta allo Chat Blanc in rue d'Odessa o al Cafè de Versailles, quando non è impegnato a frequentare modelle e sartine Quel ritratto Eileen lo conserverà sino alla morte.

Alla fine della vita di Eileen Gray c'è un articolo di Bruce Chatwin. Sono gli anni Sessanta, lei ha ormai superato i novanta, lui scrive per il Sunday Times. Nella casa parigina di rue Bonaparte attaccata al muro c'è una carta geografica della Patagonia, che Eileen ha colorato à la gouache. «Ho sempre sognato di andarci» dice l'anziana signora al giovane giornalista che ancora non sa cosa farà da grande. «Anch'io» è la risposta. «Allez-y pour moi» è la replica finale. In Patagonia è il libro che nel 1977 segnerà la nascita del Chatwin scrittore e viaggiatore.

Nel mezzo della vita di Eileen Gray ci sono una casa e un architetto. La prima, che costruisce tra il 1926 e il 1929, si chiama «E1027», sorge sulla baia rocciosa di Roquebrune, è la «casa modernista» per eccellenza ed è una realizzazione ancora più eclatante se si pensa che, sino ad allora, Eileen ha disegnato mobili, tappeti, oggetti, ma non si è mai cimentata con una abitazione.

L'architetto si chiama Le Corbusier, un nome che incarna una professione e un'epoca, gli anni fra le due guerre in cui le «machines à habiter», il funzionalismo, i pilotis, i tubolari e il cemento armato vanno all'assalto del déco e delle dimore borghesi, dei mobili in stile, dell'arredamento tradizionale. In quell'angolo di Francia, e proprio a ridosso della «E1027», ovvero della «casa bianca», come la chiama la gente del posto, Le Corbusier costruisce cinque Unités de Camping, un ristorantino, L'Etoile de mer, e poi Le cabanon, il suo rifugio marino per eccellenza. «E1027» attira però la sua fantasia e il suo ingegno artistico. Vi soggiorna spesso, grazie alla sua amicizia con il proprietario della casa, un altro architetto, questa volta romeno, Jean Badovici, che è anche compagno di vita della più anziana Eileen, e che nella sua triplice veste di architetto-amante-proprietario ha spinto quest'ultima a cimentarsi nell'impresa. Le Corbu non si accontenta però di risiedervi per lunghi periodi. Ne affresca alcune pareti con disegni astratti di sua invenzione, inserisce insomma il colore nel bianco e nel blu della creazione di Eileen. E quest'ultima non glielo perdonerà mai

Adesso quella baia di Roquebrune è stata ribattezzata Cap moderne, i francesi hanno fatto di quella casa un monumento nazionale e la «modernité à bord de mer», la modernità in riva al mare, è aperta al pubblico per le visite, insieme con le altre creazioni di Le Corbusier a farle da corona. Lo spettacolo è strepitoso e il talento di Eileen Gray si prende la sua rivincita anche rispetto ai dipinti murali che Le Corbu impose d'arbitrio, nel senso che nel gioco delle luci e dei colori ad averci visto giusto era stata lei. Per quanto geniale, quella di Le Corbusier resta la testimonianza di un'intrusione non sempre felice.

Una fotografia di Eileen scattata nel 1926 da Beatrice Abbot fa capire come nella Parigi fra le due guerre la Gray fosse un personaggio già famoso. La Abbot, insieme con Man Ray, era, stando alla testimonianza di Sylvia Beach, la celebre libraia della Shakespeare and Company, la fotografa ufficiale della Parigi colta e avant-garde, da Gide a Cocteau, da Joyce a Marie Laurencin La Grey aveva ideato le poltrone Bibendum, Dragon, Transat, il tavolo Lotus, il canapè Pirogue, la lampada Tube, una bellissima serie di separé in lacca, aveva una sua galleria in Faubourg Saint-Honoré, era più che un'amica della cantante Damia, un nome che all'epoca era il simbolo stesso della canzone d'amore, come più tardi lo sarà la Piaf. Fra i suoi clienti, che erano poi suoi amici, c'erano collezionisti come Doucet, sarti come Poiret (più tardi ci sarà Saint-Laurent), aristocratiche come Elisabeth de Gramont, detta «la duchessa rossa», pittrici come Romaine Brooks e tutta l'insalata russa lesbo-chic delle Colette, delle Stein, delle Toklas e delle Natalie Barney. Nella bella biografia di Peter Adam alla Gray dedicata (Thames &Hudson) più volte viene sottolineata la difficoltà, per una donna, a emergere in un mondo, specie quello relativo all'architettura, essenzialmente maschile, ma, al di là del sesso, Eileen era nata tropo bene, famiglia aristocratica nonché abbiente, per aver bisogno di imporsi: detestava competere, non era vanitosa, non aveva né la voglia né il bisogno di emergere. Tutto questo la aiutò a rimanere sé stessa, ma contemporaneamente la tenne sempre ai margini dei movimenti e dei sodalizi che contavano. Era troppo individualista per fare gruppo.

«E1027», il nome della casa che oggi la fa ricordare come uno dei numi tutelari del modernismo, deve quella sigla non a qualche acronimo funzionalista, ma semplicemente alle lettere dell'alfabeto. Il 10 era la «J» di Jean, il 2 la «B» di Badovici, ovvero il suo compagno, la «E» rimandava a Eileen e il 7 alla «G» di Gray Alla base di quella costruzione c'era l'idea che «il futuro proietta luce mentre il passato proietta ombre»: bisognava osare, insomma, non limitarsi a guardare indietro. Tutti gli oggetti e gli spazi della casa sono una specie di balletto meccanico smontabile e/o estensibile: divani che si allungano, tavoli che diventano bar, paraventi e finestre paravento, mobili a incastro L'insieme non è però freddamente funzionale: c'è sì il desiderio di liberare il design in quanto tale di ogni ornamento superfluo, ma ciò a cui si tende è il giusto equilibrio fra bellezza e praticità.

Chi oggi visita la «casa bianca» prova una sensazione simile al visitatore della strepitosa casa di Curzio Malaparte a Capri, tanto il panorama naturale e la costruzione artificiale si amalgamano perfettamente. Rispetto al prodigio malapartiano, la creazione della Gray è più marina nei colori, nel taglio, nell'idea stessa di un battello quasi arenatosi sulle rocce, laddove la «Casa come me» di Malaparte è soprattutto un tempio pagano.

Ironia della sorte, finché Le Corbusier fu in vita, del futuro di «E1027» si preoccupò proprio lui, come se per proprietà transitiva fosse opera sua. Morto nel 1956 Badovici, e non avendo la Gray nessun diritto proprietario in materia, sarà proprio Le Corbu a trovare quattro anni dopo un acquirente, nella persona di Marie-Louise Schelbert, una sua vecchia amica svizzera. Nel 1974 la casa finì in dotazione al medico di quest'ultima, Peter Kaegi, che la spoglierà via via di mobili e oggetti, per poi a metà degli anni Novanta finire assassinato dai suoi giardinieri per motivi di denaro

Da allora e per alcuni anni «E1027» diventa un rifugio di squatter e barboni ed è ancora in virtù di Le Corbusier, ovvero della Fondazione che ne porta il nome se, d'intesa con le amministrazioni locali e le autorità nazionali, l'associazione «Cap Moderne» creata all'uopo ne ha curato un oneroso restauro e infine l'ha messa a disposizione di visitatori, appassionati, studiosi.

Eileen Gray morirà nel 1976, quasi centenaria, a Parigi.

Le Corbusier se n'era andato, quasi ottantenne nel '68, mentre nuotava davanti a quel mare e a quelle rocce che per più di mezzo secolo gli avevano tenuto compagnia, nonché davanti a quella «casa bianca» che così tanto gli piaceva e un po' lo infastidiva per non esserne stato lui il creatore.

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