Quando parla ha un vocione impostato da film horror in bianco e nero. Quando canta ha la forza del rock a colori. «Noi suoneremo per sempre», dice con marmorea e compiaciuta inflessione. Gene «Lingualunga» Simmons ha fondato i Kiss 44 anni fa con Paul Stanley. Era arrivato nel 1957 a New York con il suo vero nome Chaim Weitz, figlio di ungheresi sfuggiti a Hitler che lo avevano messo al mondo a Haifa in Israele nel 1949. Da bravo ragazzo, era diventato insegnante in una scuola di Harlem ma fu allontanato perché, come ha spiegato, aveva «sostituito le opere di Shakespeare con i fumetti di Spiderman». Poi ha cambiato nome, e da cattivo ragazzo è diventato un fumetto dell’hard rock con la band che, come ricorda ogni volta, in America (del Nord, del Centro e del Sud, è ovvio) ha conquistato più dischi d’oro di tutti.
I Kiss sono quelli mascherati. Lui è The Demon, Paul Stanley è Starchild, gli altri due (attualmente Thommy Thayer ed Eric Singer) sono The Spaceman e The Catman. Il teatro kabuki incontra il rock duro. I Kiss sono glam con i muscoli, le zeppe, le vampate di fuoco, le esagerazioni da circo. Ormai sono un brand planetario che, grazie a un furbissimo merchandising, finora ha fruttato miliardi di dollari e garantisce concerti a ogni latitudine. Stavolta partono da Mosca, due settimane dopo saranno in Italia (il 15 a Torino e il 16 a Bologna) e, come sempre, stupiranno anche chi li segue da quando arrivarono in Italia con gli Iron Maiden a fine agosto 1980. Nel frattempo è cambiato tutto. Ma loro no.
Però scusi, mister Simmons, a 67 anni non sarà facile suonare e cantare vestiti come voi.
«Mi sta facendo un complimento visto che i Rolling Stones sono più o meno vecchi come noi ma sul palco usano solo jeans e tshirt?».
Dopotutto loro dicono che «it’s only rock’n’roll», è solo rock’n’roll.
«Tutti noi viviamo seguendo quella legge lì».
Ma è facile a quasi 70 anni?
«Per nulla, anzi. Andiamo in scena coperti di pelle e con scarpe che ci alzano anche di 20 cm. Suonare il basso, cantare e muoversi sul palco è complicato».
Però ce la fate.
«Noi siamo la band che fatica di più al mondo. Il segreto? Niente droga e niente alcol».
Detto da un rockettaro che arriva dagli anni Settanta è un po’ strano.
«Eppure è così. Mai preso droga e al massimo bevo una birra. Chiunque nella band è tenuto a seguire questa regola».
In passato non erano tutti d’accordo.
«Difatti sono stati allontanati. Da Vinnie Vincent ad Ace Frehley fino a Peter Criss, non ci sono eccezioni nella regola dei Kiss».
Però Frehley e Criss sono tornati.
«Ace all’apparenza sembrava pulito. Ma una sera lo abbiamo trovato per terra ubriaco fradicio. Da quel momento è fuori e non tornerà più. In fondo quante opportunità ti dà la vita? Una o al massimo due. Lui se l’è giocate entrambe».
I Kiss giocano senza barare.
«Vuol dire che non usiamo trucchi? E’ vero. Dal vivo si ascolta soltanto ciò che suoniamo noi. In pochi lo fanno, gli Ac/Dc e i Metallica, per dire».
E gli U2?
«Scusi ma tutti sanno che dal vivo non puoi avere tutti quei suoni usando una sola chitarra. E’ ovvio che abbiano bisogno di un aiuto tecnologico oppure di qualche musicista dietro le quinte. Noi siamo della scuola Beatles: siamo quello che suoniamo, nient’altro».
Stavolta cosa suonate?
«Ci saranno molti effetti speciali inediti. E qualche brano che non suoniamo da tanto tempo. Però la scaletta sarà concentrata specialmente sui nostri classici».
Qualcuno pensa che sia solo un modo di sfruttare la nostalgia dei vecchi fan.
«Sbagliatissimo. A ogni concerto ci sono fan che non ci hanno mai visto prima. Magari vengono con i genitori oppure con i nonni, ma hanno comunque diritto di ascoltare i brani che ci hanno resi famosi come Love gun, Detroit rock city o I was made for loving you. Se fossi un fan dei Rolling Stones e loro al concerto non suonassero Satisfaction, mi arrabbierei moltissimo, lei no?».
Insieme a loro, siete tra le band più longeve della storia.
«Forse anche loro, come noi, quando si sono formati non avevano una missione ma soltanto un sogno: dimostrare che era possibile vivere di musica. Soltanto dopo provi a dimostrare di poterti giocare un posto nella storia».
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