Nel 1947 Tyrone Power, mito della Hollywood dei tempi d'oro e padre di Romina Power, fu protagonista de La fiera delle illusioni, film tratto dal romanzo di William Lindsay Gresham. Ora il regista messicano Guillermo del Toro, che quattro anni fa ottenne l' Oscar per il miglior film con The Shape of Water, ha deciso di tornare su questa storia con Nightmare Alley - La fiera delle illusioni, versione ancora più cupa di quel grande classico che, nonostante fosse uscito in libreria nel 1946 è arrivato solo quest'anno in Italia, con Sellerio.
Il film di del Toro vede protagonista Bradley Cooper insieme ad un cast stellare: Rooney Mara, Cate Blanchett, Toni Collette, Willem Dafoe, Richard Jenkins, Ron Perlman e perfino Romina Power, in un cameo con il quale il regista ha voluto rendere omaggio al padre dell'attrice e cantante italoamericana.
«Penso che il sogno americano sia un incredibile generatore di incubi», dice del Toro del suo adattamento, nel quale «il protagonista è sempre a due passi dal perdere tutto, perché ha fondato il suo mondo sulle bugie, non ha lo scudo della verità». Il protagonista di cui parla del Toro è un giostraio, Stanton Carlisle, interpretato da Bradley Cooper, affabulatore ambizioso con un talento raro nel manipolare le persone. Stanton Carlisle un giorno incontra una donna (Cate Blanchett) che si rivelerà presto persino più pericolosa e abile di lui nel soggiogare la mente degli altri. Da queste premesse si dipana il noir ora sul grande schermo negli Stati Uniti e in Italia in arrivo il 27 gennaio. «È la storia della rivelazione di un uomo, il momento più sacro della vita di un individuo, quando finalmente si pone faccia a faccia con sé stesso continua del Toro -. Succede quasi sempre a tutti noi. Può succedere alla fine della vita o nel mezzo di essa. Rimane un attimo importantissimo e sacro, quello in cui quell'essere umano si dice: ecco finalmente ho capito chi sono veramente».
Bradley Cooper ammette di aver avuto paura di questo ruolo cerebrale e misterioso: «Questo lavoro, il ruolo del giostraio Stanton Carlisle, mi ha terrorizzato per tante ragioni. Potrebbe anche essere che certi miei timori siano legati al fatto che sono anche io, forse, in quella posizione nella mia vita, come uomo e come attore. Nel 1993 Clint Eastwood nel suo film Un mondo perfetto diceva: Non so niente, non una dannata cosa, e ora lo capisco. Più si cresce, più si invecchia, più crescono le domande, non le risposte e quindi, a quarantasei anni ho pensato che fosse giusto esplorare questi temi insieme a del Toro. Quanto persi siamo? Quanto poco conosciamo di noi stessi e degli altri? Era giusto farsi domande, ma allo stesso tempo farmele mi spaventava. Girare questo film per me ha avuto un costo emotivo non indifferente, mi sono sentito vulnerabile».
L'ultima scena del film è la risposta alle domande di cui sopra. «Senza rovinare il finale posso dire che con quella scena abbiamo stabilito che questo è il ritratto del protagonista attraverso la luce degli altri», dice del Toro.
Accanto a Standford ci sono tre donne: «Ognuna a modo proprio dà volto a un archetipo, l'ingenua (Rooney Mara), la femme fatale (Cate Blanchett), la donna concreta con un cuore d'oro (Toni Collette). Io vedo in ognuna di loro una dimensione quasi da supereroina, anche perché riescono tutte e tre a sopravvivere all'incontro con Stan». Per Rooney Mara, una delle forze del film è proprio «il fatto che Guillermo del Toro non mette in scena un solo archetipo di donna, come spesso succede, ma ne propone tre differenti. E tutte e tre risultano donne vere».
Secondo il regista il lungo stop forzato del marzo dello scorso anno, quando causa pandemia la produzione aveva dovuto fermarsi per vari giorni, anziché creare un danno ha aiutato. Sia lui, il regista, a perfezionare il copione, sia Bradley Cooper, il protagonista, a perdere il peso necessario a interpretare il suo personaggio, più magro nella prima parte del film. Del Toro infatti ha deciso di girare prima la seconda parte e poi la prima.
Nei giorni delle riprese Romina Power ha pubblicato una foto su Instagram in cui, in elegante abito di scena, sorseggia un Martini che nel post definisce «non alcolico».
Quegli abiti e quel drink riportano lo spettatore nelle atmosfere tipiche del noir più classico: l'America dei telefoni bianchi, fra fine anni Trenta e inizio anni Quaranta. «Un mondo capace di evocare anche la società di oggi - conclude il regista -. L'oscurità attende chi la cerca, sempre, in qualsiasi epoca».
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