Spesso si ha l'impressione che il dibattito pubblico in Italia abbia fatto due o tre passi indietro rispetto agli anni nei quali, paradossalmente, le divisioni ideologiche erano molto più nette rispetto a ora. Prendiamo un tema difficile: l'aborto. Dati di fatto: esiste una legge, la 194, che nessuna delle principali forze politiche ha in programma di toccare; tale legge consente di abortire e inoltre dichiara che l'interruzione della gravidanza non è un mezzo per il controllo delle nascite; a partire da questi presupposti, dovrebbe essere possibile un franco dibattito sul tema. Invece non è così. Qualunque posizione, ragionata o propagandistica, intelligente o cretina, in buona o cattiva fede, finisce prima tritata nella pattumiera del pensiero, cioè i social network, poi etichettata sbrigativamente come fascista o patriarcale o comunista o femminista, quindi, in molti casi, esclusa dal dibattito pubblico.
Non è vero? Facciamo una prova. Prendiamo alcune opinioni disallineate al politicamente corretto, eppure legittime, come tutte le opinioni, e pensiamo a chi, oggi, le pubblicherebbe. Pensiamo anche a cosa accadrebbe se venissero pubblicate.
Sul Corriere della sera dell'8 maggio 1981, Norberto Bobbio, non credente e padre nobile della sinistra, risponde alle domande di Giulio Nascimbeni in vista del referendum sull'aborto. Leggiamo: «È un problema molto difficile, è il classico problema nel quale ci si trova di fronte a un conflitto di diritti e di doveri». Nascimbeni chiede quali diritti e quali doveri siano in conflitto: «Innanzitutto il diritto fondamentale del concepito, quel diritto di nascita sul quale, secondo me, non si può transigere. È lo stesso diritto in nome del quale sono contrario alla pena di morte. Si può parlare di depenalizzazione dell'aborto, ma non si può essere moralmente indifferenti di fronte all'aborto». Ci sono altri diritti: «C'è anche il diritto della donna a non essere sacrificata nella cura dei figli che non vuole. E c'è un terzo diritto: quello della società. Il diritto della società in generale e anche delle società particolari a non essere superpopolate, e quindi a esercitare il controllo delle nascite». Il diritto del concepito è «fondamentale»; gli altri, dice Bobbio, sono «derivati». Siamo arrivati al cuore della riflessione: «Inoltre, e questo per me è il punto centrale, il diritto della donna e quello della società, che vengono di solito addotti per giustificare l'aborto, possono essere soddisfatti senza ricorrere all'aborto, cioè evitando il concepimento. Una volta avvenuto il concepimento, il diritto del concepito può essere soddisfatto soltanto lasciandolo nascere». Nascimbeni muove l'obiezione più logica e forte: abrogando la legge 194, si tornerebbe ai «cucchiai d'oro», alle «mammane», ai drammi e alle ingiustizie dell'aborto clandestino. Bobbio non fa marcia indietro: «Il fatto che l'aborto sia diffuso, è un argomento debolissimo dal punto di vista giuridico e morale. E mi stupisce che venga addotto con tanta frequenza. Gli uomini sono come sono: ma la morale e il diritto esistono per questo. Il furto d'auto, ad esempio, è diffuso, quasi impunito: ma questo legittima il furto? Si può al massimo sostenere che siccome l'aborto è diffuso e incontrollabile, lo Stato lo tollera e cerca di regolarlo per limitarne la dannosità. Da questo punto di vista, se la legge 194 fosse bene applicata, potrebbe essere accolta come una legge che risolve un problema umanamente e socialmente rilevante». Nascimbeni chiede a Bobbio se riesce a immaginare la reazione del mondo laico alle sue parole. Bobbio: «Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido in senso assoluto, come un imperativo categorico, il non uccidere. E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l'onore di affermare che non si deve uccidere». Ne venne fuori un putiferio ma intanto Bobbio aveva potuto esprimere la sua idea controcorrente da una tribuna importante.
Molto prima di Bobbio, il 19 gennaio 1975, il Corriere della sera aveva pubblicato un articolo corsaro di Pier Paolo Pasolini, non credente e marxista eretico, sullo stesso tema. Pasolini: «Sono contrario alla legalizzazione dell'aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell'omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano cosa comune a tutti gli uomini io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente. Mi limito a dir questo, perché, a proposito dell'aborto, ho cose più urgenti da dire. Che la vita sia sacra è ovvio: è un principio più forte ancora che ogni principio della democrazia, ed è inutile ripeterlo». Poi accusava i Radicali, ai quali si sentiva comunque vicino, di cinismo e di essersi arresi ai fatti. Ne uscì un altro putiferio, anche perché le motivazioni di Pasolini sconfinavano in un ambito, quello del coito eterosessuale e omosessuale, che non sembrava del tutto calzante.
Nel 1980, Giovanni Testori, cattolico imperfetto per inquietudine, scrisse il monologo Factum est. Nell'opera parla solo il feto, il «grumo di cellule», che nella realtà non ha voce né volontà. È lui il nuovo Cristo crocefisso, rifiutato prima che esca dal ventre della madre. Fu uno scandalo. Ma intanto andò in scena e successivamente fu proposto perfino nelle università al pubblico degli studenti.
Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci, non credente e socialista con sfumature liberali, fu pubblicato nel 1975, doveva essere un'inchiesta per l'Europeo, diventò un romanzo bestseller (due milioni di copie in Italia, due milioni e mezzo nel resto del mondo). Fu scritto però circa dieci anni prima, di getto, proprio in seguito a un aborto spontaneo (il secondo: la Fallaci aveva già vissuto un'esperienza drammatica nel 1958). Il tragico monologo di una donna che si rivolge al figlio che porta in grembo, interrogandosi sulla responsabilità di dare la vita, e affrontando senza timori la questione dell'aborto, suscitò infinite polemiche. Ne scrive la Fallaci, che non aveva aspettato il femminismo per essere femminista, in una lettera del 1975 all'amico Pasolini: «Le donne si indignano da un parte, gli uomini si arrabbiano dall'altra, gli abortisti mi maledicono perché concludono che io sono contro l'aborto, gli antiabortisti mi insultano perché concludono che io sono per l'aborto. E nessuno o quasi si accorge di cosa vuol dire il libro veramente. Nella rissa non hanno ragione né gli uni né gli altri, o hanno ragione tutti e due. Il libro è la saga del dubbio. Vuol essere la saga del dubbio» (da La paura è un peccato. Lettere da una vita straordinaria, Rizzoli). Libro controverso ma pubblicato da un colosso come Rizzoli.
Ecco, ora, archiviato anche il caso particolare del Foglio di
Giuliano Ferrara, provate a pensare se queste opinioni troverebbero accoglienza nel deprimente mondo dell'editoria italiana dove si fanno dibattiti ma solo a patto di essere tutti d'accordo e tutti politicamente corretti.
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