Olea e la Russia sovietica basata sull'"Invidia" borghese

Un pezzo grosso del partito che fa l'imprenditore, una star del calcio, un nostalgico dello zar. E un idealista esodato...

Olea e la Russia sovietica basata sull'"Invidia" borghese

Dieci anni dopo la Rivoluzione d'Ottobre, la rivoluzione si era già ampiamente imborghesita. Questo vuole dirci Jurij Karlovic Olea (Elisavetgrad, Ucraina, 3 marzo 1899 - Mosca, 10 maggio 1960) in Invidia, il suo romanzo spesso accostato, quanto a critica sociale e a grottesco umorismo, alle opere di Bulgakov e Nabokov. Ma che soprattutto, a un secolo di distanza dalle truffe del consigliere di collegio Pavel Ivanovic Cicikov, resuscita le gogoliane Anime morte.

Invidia (ora proposto da Carbonio Editore dopo quasi quarant'anni di assenza dalle nostre librerie - pagg. 188, euro 14,50, traduzione di Daniela Liberti) uscì infatti in Unione Sovietica nel 1927, e il personaggio che vi incarna il potere è un quarantenne ciccione, crapulone e fanfarone. Direttore di un consorzio alimentare, Andrej Petrovic Babicev ha le mani in pasta presso tutti i gangli del partito, possiede un'auto blu (sì, proprio un'auto blu, con autista) e, oltre a essersi inventato una qualità di salame dall'alto valore nutritivo e dal basso costo, è l'ideatore di un progetto (oggi diremmo di una catena commerciale) chiamato «Cetvertak», cioè «quarto di rublo», perché nelle mense del gruppo «Cetvertak» tutti i compagni indistintamente possono pranzare pagando soltanto un quarto di rublo... Insomma, siamo di fronte a un imprenditore di successo, a un borghese fatto e finito. E poco importa che questo nepman, questo speculatore a margine della Nuova Politica Economica imposta da Lenin, abbia anche un passato di detenuto politico. Come lo sappiamo? Ce lo rivela il suo... segretario-correttore-di-bozze-ospite, tale Nikolaj Kavalerov, raccattato due settimane prima da Babicev sulla soglia di una birreria dove il nullafacente ventisettenne, ubriaco, aveva appena avuto un'accesa discussione con altri beoni. Infatti Kavalerov, che quando non trinca è un acuto osservatore, ha notato sulla clavicola destra del suo salvatore una cicatrice, ricordo di un colpo di pistola subìto durante un tentativo di evasione.

Parcheggiato sul divano del single (gay?) Babicev, Kavalerov muore di inedia, oltre che di invidia. E quando apprende di essere il sostituto di un altro giovane, lo studente-calciatore (di ruolo portiere), Volodja Makarov, uscito spontaneamente da sotto l'ala protettiva del manager per prepararsi alla partita Urss-Germania, può fregiarsi di un nuovo pericoloso sentimento, la gelosia. Sicché la coppia di fatto, ben presto scoppia: Kavalerov viene allontanato.

Se lo sbandato ma puro Kavalerov si inserisce perfettamente nella lunga e gloriosa tradizione letteraria russa dei signori nessuno assurti al ruolo di protagonisti, una sorta di piccolo Idiota dostoevskijano, il suo rivale Makarov, non a caso calciatore, dunque ingranaggio di una squadra, anela a essere «una macchina», come apprendiamo dall'acconcio espediente narrativo di Olea: uno scambio di lettere indirizzate a Babicev dai suoi due protetti. Makarov, quindi, è l'«uomo nuovo» dell'universo sovietico, nato per gemmazione dal vecchio proletariato, o addirittura dai servi della gleba. Soltanto che, in luogo della gleba, deve servire il popolo. E su altre zolle, quelle dei campi di calcio.

Alla modernità, anzi alla forza profetica del romanzo si aggiunge poi un quarto elemento, un quarto uomo: Ivan, fratello di Babicev e padre della tenera Valja, della quale ovviamente Kavalerov s'innamora, raddoppiando così la dose di gelosia nei confronti del top player Makarov, al quale lo zio intrallazzatore (e procuratore?) vorrebbe darla in sposa. Le pagine sul duello, a distanza e non, fra i due Babicev sono, nello stesso tempo, le più divertenti e le più drammatiche del libro. Perché se Andrej Petrovic Babicev rappresenta il presente e, come la storia ha dimostrato, il futuro dell'homo sovieticus, Ivan si propone come paladino di un ritorno al passato, del pervicace attaccamento ai beni e alle abitudini private, dotato persino di un feticcio che diventa il suo logo: un cuscino, simbolo delle rassicurazioni domestiche. Quindi possiamo vedere in Ivan, politicamente parlando, un laudator temporis acti, un nostalgico dello zarismo, della monarchia individuale contrapposta alla monarchia del partito unico.

Uscito tre anni dopo I tre grassoni, l'altro romanzo di Olea scritto in tono favolistico (e fu la forma a salvarne il contenuto e non solo...) in cui i grassoni sono, del partito, la manifestazione palesemente tirannica e debordante, Invidia, per fortuna sua e soprattutto del suo autore, non fu ben compreso dalla critica militante, che preferì guardare le dita (Kavalerov e Ivan Babicev) invece della luna (Makarov e Andrej Petrovic Babicev). Soltanto Osip Maksimovic Brik, faceva notare Vittorio Strada nella nota conclusiva all'edizione Einaudi del 1969 dei due romanzi, si rese parzialmente conto della portata dirompente di Invidia.

Brik invitava il lettore a non farsi distrarre dal tenore pagliaccesco della storia, poiché il nemico, diceva, è pericoloso anche quando ci fa ridere. E sentenziava: «È presto per averne pietà. Bisogna prima dare il colpo di grazia». E colpi di grazia ne arrivarono a migliaia.

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