Il nuovo Stone? È il vecchio Tarantino. Così Le belve (dal 25 ottobre, 350 copie), l'ultimo film del regista hollywoodiano più sovversivo e originale in circolazione da quattro decadi, cioè il newyorchese Oliver Stone, classe '46 e tris di Oscar, gronda teste sanguinolente prese a calci dai narcos messicani, rapimenti, torture, gole tagliate. Tanto più che questa brillante «tarantinata» - «un western con gli elicotteri», dice lui presentando il thriller sospeso tra la California dorata di Laguna Beach e il Messico cupo del cartello di Tijuana -, si avvale dell'attore «pulp» per eccellenza, John Travolta e d'una bellezza globale come Salma Hayek, che in versione mora rifà il verso a Uma Thurman in Kill Bill, tra colpi di pistola e muso duro. Tratto dal romanzo di Don Winslow Savages (Einaudi: Le belve), il noir di Stone, ieri in forma dopo aver fatto jogging a Villa Borghese, si discosta dal testo letterario, tra i migliori dieci libri del 2010, per il New York Times. «Non avevo letto nulla di così originale, ma il regista ha sempre l'ultima parola: ho apportato molti tagli, riducendo le scene da 350 a 20, con una sola persona che narra. E ho aggiunto due finali», spiega l'autore di Platoon (1986), che ha avuto per maestro Martin Scorsese.
La storia ha inizio con la tipica ragazza da spiaggia californiana (Blake Lively), che passeggiando racconta la vicenda criminale in cui lei, detta O. (da Ophelia) e i suoi due amanti in contemporanea, il veterano di guerra e reduce scoppiato Chon (Taylor Kitsch, visto in Battleship) e il mite botanico Ben (Aaron Taylor-Johnson), sono stati coinvolti. Il trio convivente in una lussuosa casa vista Pacifico e zeppa di buddhini New-Age, fa girare la propria esistenza intorno alla marijuana: la migliore mai smerciata in California, visto che mentre Chon portava i semi dai teatri di guerra (Afghanistan e Iraq), Ben li trapiantava con successo. Potevano restare in pace con le loro pipe da fumo e una pupa in due per un narco-erotico ménage à trois? Quando sullo schermo del computer di Chon compaiono facce pestate a sangue e usate come palloni(«È l'Iraq?», chiede O. «No, il Messico», risponde l'ex-soldato) finisce il sogno californiano e inizia l'incubo. «Il primo atto è una descrizione della vita da spiaggia: bella gente e bei fisici. Il secondo atto diventa un noir messicano: è il mondo oscuro del cartello dei narcos. Il terzo atto è un western moderno, alla Sergio Leone. Il concetto d'un cartello messicano, con le decapitazioni? È un modo per dire che il mondo è diventato un luogo più brutale», sintetizza Stone, ricordandoci quel che sappiamo: le belve sono tra noi.
Si diceva dell'incubo della Baia Messicana, che nel film vuole entrare nel business della marijuana liberalizzata in California, dove basta avere una ricetta medica per ottenerla. A controllare il cartello di Tijuana con pugno di ferro è Elena, lady boss col fisico esplosivo di Salma Hayek. «Questa donna è molto cattiva, ma ho cercato di mostrarne le sfumature: dolce con la figlia, cattolicissima, di base è una donna sola», scandisce l'attrice e produttrice messicana, sposata al mogul della moda francese François-Henri Pinault e pertanto carica di pietre preziose al collo, alle dita, alle orecchie fin dal mattino. E se la critica Usa rimprovera a Le belve una certa confusione, con i personaggi descritti in modo approssimativo, il ruolo della Hayek è l'unico a emergere con nitore.
Bypassando la dichiarata propensione di Stone all'uso delle droghe, iniziato per lenire il dolore dalle ferite di guerra dopo il Vietnam, la diva caliente moraleggia: «Viviamo tempi difficili: se non scopriamo cos'è buono per la comunità, diventeremo selvaggi. Spero che andando a vedere il film, gli spettatori capiscano che assumere droga è assumere grandi responsabilità: quando si compra droga, qualcuno muore». Pieno di contrappunti, il film oppone alla furba Elena il suo stolido scagnozzo Lado, alias Benicio Del Toro, lesto a tradirla. E al tandem di strafatti Ben e Chon, un corrotto agente della Dea, impersonato da John Travolta, atterrato a Fiumicino pilotando il suo aereo privato. Liftato e gonfio come l'uomo Michelin, Tony Manero è parso entusiasta e ha scomodato Tennessee Williams: «Lo scrittore diceva: dipendo dalla gentilezza degli altri. Io dipendo dagli scrittori. Amo essere la Musa di qualcuno.
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