Se gli autori italiani sono incapaci di girare film sulla borghesia, sfornando invece «canari» e disperati di Roma-Ostia, i francesi portano sul grande schermo storie popolari anche estreme e tremende, ma narrate dal salotto di casa, tra un calice di rosso e un disco di Cole Porter. Oppure dai banchi d'un liceo parigino, dove l'eroina de Il complicato mondo di Nathalie (da giovedì), commedia graffiante dei fratelli Foenkinos, non solo è un'insegnante di lettere cinquantenne e divorziata, con la luna storta per via della menopausa, ma è anche una madre della classe media, divorata dalla gelosia e dall'invidia. Anche nei confronti della figlia 18enne, splendida ballerina dell'Opéra che Nathalie, questo il nome dello disturbata protagonista, è pronta a mandare in choc anafilattico, condendole l'insalata con l'olio di noci al quale è allergica. Distrazione? Odio malcelato? In ogni caso, a infrangere il tabù della rivalità tra madre e figlia c'è Karin Viard, la Meryl Streep europea e vedette di film politici come L'odio (1995) di Mathieu Kassowitz o popolari come La famiglia Bélier (2014). Un'attrice versatile, vincitrice di due Premi César e giurata a Cannes. Originaria di Rouen, 52 anni, due figlie Marguerite e Simone, di 20 e 18 anni e una bellezza discreta, fatta di occhi sinceri e sorrisi aperti, Karin racconta di sé e del suo ruolo.
Nel film dei Foenkinos lei passa repentinamente da madre attenta a invidiosa patologica. Non teme di risultare antipatica?
«Sì. Ma stranamente mi piace la sua umanità frustrata. Non è un film convenzionale. Interpretando la parte della fornaia razzista in Parigi, il regista Cédric Klapisch mi diceva: Il miglior modo d'interpretare un personaggio così, è abbracciarlo. E così ho fatto anche stavolta. Invitando i Foenkinos ad andare oltre, nella scrittura».
Che cosa voleva aggiungessero?
«Il fatto è che Nathalie è orrenda, si comporta male dicendo in faccia agli amici cosa pensa di loro, ma al tempo stesso è disperata e sola. Quando dice alla sua migliore amica che la figlia di lei è un cesso, non si rende conto d'essere sgradevole. Non vorrei essere come lei, nella vita, né la giudico. Però la sua umanità mi ha convinto. Di base, è un'invidiosa, ma in lei scorre una vena sotterranea di dolore: ha un folle bisogno d'essere amata. E mi è piaciuto mescolare i due elementi. Chiunque può identificarsi in lei, malgrado tutto».
Nathalie vive con sua figlia, eppure si sente sola, nonostante gli amici. È invidiosa del buonumore altrui?
«Assolutamente sì. Spesso l'invidia nasce da un senso d'insicurezza, dalla scarsa stima di sé. Non ho questo tipo di rapporto con le mie ragazze, ma capisco che una madre possa mettersi in competizione con le figlie, quando esse sbocciano in bellezza e freschezza. È un tabù dire che si è invidiose delle proprie figlie... le relazioni familiari, a volte, sono molto violente. E la società non risponde con gentilezza alle cinquantenni».
Ha una carriera intensa: oltre 60 film e molti riconoscimenti. Che cosa le piace, del suo lavoro?
«Ogni film è un'avventura particolare, che mi consente di raccontare la mia storia. Di mio, sono allegra e sincera: quando trovo un regista che, per me, non ci sa fare, glielo dico. Non ho mai problemi con i personaggi disturbanti. Da spettatrice, mi piace detestarli!».
Che tipo di madre è con le sue figlie?
«Con loro è come
arrivare su un campo coperto di neve e lasciare le prime tracce: una formula che mi aiuta! Le lascio libere e cerco di risarcire la mia, di infanzia. Mia madre ha lasciato me e mia sorella dai nonni, quando si separò da papà».
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