I social network sono ormai parte integrante delle nostre vite: ce ne sono diversi fra cui scegliere, non tutti li usiamo in maniera compulsiva, ognuno ha il proprio preferito. The Social Dilemma, il documentario appena uscito su Netflix e diretto da Jeff Orlowski, apre una piccola finestra su un universo parallelo e inquietante, creato per influenzare le nostre azioni nel mondo reale.
Il film accompagna il pubblico alla scoperta del lato oscuro della socialità online, attraverso le interviste ad alcuni dei pezzi grossi della Silicon Valley, che raccontano le logiche, chiaramente economiche, che muovono i social media. L'enorme influenza che questi hanno sui più giovani e il ruolo chiave che giocano nella nostra democrazia. Un campanello d'allarme suonato dagli stessi ideatori di questi mezzi di distrazione di massa, che stanno guardando le loro stesse creature prendere una direzione inaspettata, in grado di danneggiare l'intera società. Se non paghi per usufruire di un prodotto, significa che il prodotto sei tu. È una delle citazioni più significative di questo lungometraggio di 94 minuti, il cui scopo è quello di rendere «il prodotto», cioè noi, consapevole delle tattiche utilizzate per mantenerlo online e quindi in vendita per gli inserzionisti.
«Io stesso spiega il regista - sono stato un utente fedele dei social, per un lungo periodo. Non avevo idea delle logiche e dei meccanismi nascosti, che spingevano me e milioni di altre persone a passare ore ogni giorno a guardare lo schermo di un cellulare». Quando nel 2017 Orlowski ha iniziato a girare questo documentario, capendo qualcosa in più del dietro le quinte e dei modi in cui le aziende manipolano gli utenti, per aumentare il loro coinvolgimento, ha scelto di eliminare il proprio account Facebook. Il social di Zuckerberg non voleva perderlo - una persona in meno a cui commercializzare annunci ed ecco pronto un algoritmo per invogliarlo a tornare. «Se smetti di usarlo, Facebook proverà a farti risorgere. Farà diversi tentativi per richiamarti. Mi hanno inviato e-mail, messaggi di testo e addirittura inoltrato le foto di una mia ex fidanzata. Sono tornato sul mio profilo e la sensazione che ho provato era di disgusto: non sopporto di essere usato in questo modo».
Tristan Harris, ex design ethicist di Google e presidente del Center for Humane Society, è uno dei volti ricorrenti in questo documentario: «La cosa inumana, è che ormai la nostra società è costruita in modo per cui nessuno può fare a meno dei social. Immaginate un ragazzino che guarda The Social Dilemma e decide di smettere di usare Instagram o Tik Tok. Cosa succederà? Semplice, sarà tagliato fuori dal suo gruppo di amici. È mostruoso. È molto più di una dipendenza, perché i social oggi hanno enorme influenza anche sulle vite di chi non li usa: la violenza mostrata di continuo, quasi come fosse un trofeo, è capace di destabilizzare intere comunità. Miliardi di dollari generati grazie a noi, a nostra insaputa e che al momento vanno nella direzione opposta a quello che è il bene collettivo».
Ci sono anche lati positivi nella possibilità di essere interconnessi e di informarsi in maniera indipendente? «Certamente, online possiamo ampliare la discussione, che si tratti di elezioni o ecologia, possono essere uno strumento molto efficace continua il documentarista - nel trailer del nostro documentario, mostriamo un piccolo esperimento che abbiamo fatto. Digitando su Google: cambiamento climatico, ci siamo resi conto che i risultati mostrati, non sono uguali per tutti. A seconda del tipo di utente che digita, dei siti che guarda o del tipo di pagine a cui è iscritto, appariranno contenuti che l'algoritmo ritiene adatti a lui. Se sei un terrapiattista, un negazionista del Covid 19 o se credi agli alieni, troverai sempre contenuti che in qualche modo ti danno ragione. Una persona come me, sotto la voce cambiamento climatico troverà teorie e dati scientifici, che spiegano che dobbiamo fare di tutto per diminuire il riscaldamento globale. Se un supporter di Trump digiterà le stesse parole, Google gli proporrà contenuti che negano quelle stesse teorie scientifiche. Provate a moltiplicare questo esperimento miliardi di volte, per decine di anni, su persone in tutto il pianeta.
Ai colossi della tecnologia questa personalizzazione dell'informazione conviene economicamente, perché è un modo di tenere alta l'attenzione. È ovvio però che questo contribuisca ad alimentare l'enorme polarizzazione di cui siamo testimoni ogni giorno. Come diciamo nel documentario, è come se al momento nel mondo ci fossero tre miliardi di Truman Show».
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