Parigi riscopre oggi il Buzzati pittore che ignorò in vita

Luciana Baldrighida Parigi«Intendiamoci bene. Non voglio fare la vittima» disse nel 1967 un ironico Dino Buzzati, dopo che la sua prima mostra parigina alla galleria La pochade aveva fatto registrare in un giorno più visitatori che in un anno. «Non voglio recitare la sgradevole parte di incompreso. So stare al gioco. E riconosco pure che il mondo cane alla fine non commette ingiustizie. E so benissimo che il mio gigantesco talento di pittore avrà un giorno il suo riconoscimento. Al Louvre, alla National Gallery, al Museum of Modern Art, al Moderne Kunst Institut, a Villa Giulia state pure tranquilli c'è già un posto per me. Ma... bisogna che io prima defunga. Mi rendo conto della situazione. E mi rassegno». Era il suo una sorta di involontario humour noir, perché da vivere gli restava allora appena un pugno d'anni, la morte, come il reggimento di un suo racconto, si sarebbe messa in marcia una notte di gennaio del 1972 verso una destinazione ignota. E però, se si fa un conto delle personali e collettive a cui vivente aveva partecipato, a cominciare da quella veneziana del Cavallino nel 1943, si tocca a fatica la dozzina, mentre nel quarantennio successivo alla morte il numero si triplica... Le opere erano sempre quelle, ma nella Città dei pittori, per avere Il lasciapassare, altro titolo di un suo memorabile raccontino, bisognava, per quelli come lui, non essere più di questo mondo. In caso contrario, «Letteratura! Si vergogni! Un figurativo! Pfui! Beeh! Contenutista! Porco!».Adesso che la galleria Orrenda di Parigi, con il patronage dell'Istituto italiano di cultura e la collaborazione dell'Associazione Renzo Cortina, ne celebra il talento pittorico (Hommage à Dino Buzzati: testi di Maria Teresa Ferrari e Stefano Cortina, catalogo in francese-inglese-italiano, sino al 15 gennaio al n°54 di rue de Verneuil), esponendo una quarantina fra pastelli, oli, disegni, serigrafie, litografie, acqueforti, ci si rende ancora una volta conto della potenza grafica di quello che fu «un raccontatore di storie», un visionario che dipingeva i sogni e vedeva oltre che con le immagini con le parole, un surrealista che giocava con la contaminazione, con il fumetto e con il racconto. Poema a fumetti e I miracoli di Val Morel nascono da qui, il primo la rivisitazione in chiave moderna del mito di Orfeo, il secondo un ciclo pittorico di 40 dipinti in cui arte, letteratura e folklore si coniugano. Nella mostra, un posto speciale è dato alle 11 acqueforti e un disegno che compongono Le gambe di Saint Germain, realizzati da Buzzati per accompagnare il parigino taccuino di viaggio di Osvaldo Patani, pubblicato in Francia nel 1971 e poi in Italia dalla Rusconi.

«Le ragazze di Saint Germain sono svestitissime» dirà per spiegare perché avesse sentito il bisogno di trasformare in immagini concrete le fantasie che la lettura di quelle «divagazioni poetiche sulle più belle gambe del mondo» gli avevano suscitate. «La super-minigonna rende le gambe indipendenti. Le belle gambe si rinnovano a catena e così gli occhi ringiovaniscono la vita».

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