Pascal, il genio "spaventoso" che va da Dio alla roulette

Attraversò ogni campo dello scibile conciliando scienza e fede. Sapendo che la debolezza dell'uomo è la sua forza

Pascal, il genio "spaventoso" che va da Dio alla roulette

Chateaubriand lo definì «uno spaventoso genio» e, seppur intriso di grandeur e romanticismo, il suo giudizio è difficilmente discutibile. Blaise Pascal nacque a Clermont-Ferrand nel 1623 e, nei trentanove anni della sua esistenza, incarnò appieno il suo secolo, muovendosi fra la matematica e la filosofia, la fisica e la teologia, la mondanità e la fede, mostrando fin da subito capacità fuori dal comune: a dodici anni, sebbene il padre gli avesse proibito gli studi scientifici, si mise a studiare le cause del suono e scoprì da solo la 32esima proposizione di Euclide; a sedici scrisse il Saggio sulle coniche che fece saltare sulla sedia Cartesio, il quale insinuò fosse stato scritto dal padre di Blaise, Étienne; a 22, dopo averci lavorato per un po', mise a punto la sua «macchina aritmetica», cioè, per aiutare il padre, consigliere alla Direzione dazi, imposte e tributi a fare i conti, inventò la calcolatrice. E poi fece esperimenti sul vuoto per confermare le scoperte di Torricelli, studi sulla cicloide con cui anticipò il calcolo infinitesimale, dando una bella mano a Leibniz, scambiò lettere con Fermat per riflettere sul problema della «posta in gioco», ovvero il calcolo delle probabilità; si convertì come un mistico (due volte, secondo la vulgata), trattò questioni raffinate negli Scritti sulla grazia (1655-56) e polemiche religiose nelle diciotto Lettere provinciali; e, in tutto ciò, non smise mai di occuparsi del suo soggetto-oggetto preferito, l'uomo, come testimoniano gli ottocento frammenti dei Pensieri, un classico della filosofia occidentale. E amò Dio moltissimo, al di là di Port-Royal e i giansenisti e le liti con i gesuiti: «Dio mio, non mi abbandonare mai», furono le sue parole sul letto di morte, a Parigi, il 19 agosto 1662.

Ora, difficile non sentirsi piccini, di fronte a una mente del genere: ed è una consapevolezza, questa, che lo stesso Pascal avrebbe ritenuto conveniente, poiché è lui che ha scritto: «La grandezza dell'uomo è grande, in quanto si riconosce miserabile». Nell'uomo, dice Pascal, la grandezza e la miseria coincidono e chi non riconosce i propri limiti vive nell'illusione: «L'estremo passo della ragione consiste nel riconoscere che esiste un'infinità di cose che la trascendono». Però i nostri limiti non sono una scusa, anzi, infinita è la via da percorrere per chi voglia esercitare l'esprit de géométrie, cosa che del resto lui fece per tutta la vita, poiché, scrive in un frammento famosissimo, «l'uomo non è che una canna, la più debole della natura, ma è una canna che pensa»; e, visto che «tutta la nostra dignità consiste... nel pensiero», ecco l'invito/imperativo morale: «Adoperiamoci dunque per pensare bene».

E, guarda un po', il motto di Jean Mesnard (1921-2016), accademico di Francia e grande studioso del filosofo, era: «Pascal insegna a pensare». Un messaggio che è stato raccolto da Maria Vita Romeo, docente di Filosofia morale all'Università di Catania (dove dirige il Centro studi su Pascal e il Seicento, da lei fondato), la quale ha trascorso 23 anni - quasi metà della sua vita - a studiare Pascal e il risultato è un volume immenso, le Opere complete, appena pubblicato da Bompiani, 3134 pagine meravigliose per «pensare bene» (o almeno provarci), fra saggi di fisica, di geometria, di matematica, di teologia, i Pensieri ovviamente, le lettere, e poi la cronologia, le «note introduttive» a ogni testo... E, siccome questo è «il lavoro di una vita», tutte le opere sono state tradotte (dal latino o dal francese) dalla curatrice, alcune per la prima volta in italiano, come gli Scritti di fisica e quelli sulla cicloide. Oltre a tanta passione, c'è una convinzione alla base di questo enorme lavoro: «Per molto tempo - dice Maria Vita Romeo - si è tramandata l'immagine di un Pascal dimidiatus, un Pascal mistico per il quale la scienza era solo un passatempo, ma non è vero. Pascal ha speso tutta la vita per la scienza, oltre che per la fede e la filosofia e, nonostante l'immagine da santo diffusa soprattutto dalla famiglia, credeva nella ragione, infatti ha scritto che la fede senza ragione è superstizione». Tanto idealizzato dai familiari quanto bistrattato dagli illuministi, alcuni suoi aspetti umani, molto umani, sono stati dimenticati, per esempio le frequentazioni con i libertini, come Mére e il duca de Roannez e le vanità da scienziato, così come il fatto che gli interessi scientifici siano proseguiti per tutta la vita, ben oltre la «notte di fuoco» della conversione del 23 novembre 1654. È in nome di questa «unità» del pensiero di Pascal che, a distanza di quattrocento anni, presentare le sue Opere complete ha un senso, non solo storiografico: è l'esprit de géométrie (qui tradotto con «intelligenza geometrica») a offrire il metodo per riflettere sull'infinito e studiare l'uomo; poi, certo, c'è il couer, la «mente intuitiva», che «sente» e ci dà la certezza, dei principi matematici indimostrabili come della fede. Questa «unità» si concretizza in quello che è forse il più famoso dei Pensieri, il pari, la «scommessa su Dio», in cui Pascal utilizza le categorie del giocatore d'azzardo per mostrare come «convenga» scommettere sull'esistenza di Dio, più che sulla sua non esistenza, perché «se vincete, vincete tutto; se perdete, non perdete nulla», e siccome «il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce», è proprio il cuore che «sente Dio» ed è in questo che l'uomo può essere felice. Ma può esserlo, anche, se sceglie la via della verità di sé stesso, l'antico sentiero inaugurato dall'oracolo a Delfi e sul quale si è incamminata la filosofia, da Socrate in poi, e che Pascal segue in pieno, quando parla di miseria e grandezza, quando dice all'uomo che ciò che conta è essere, non apparire. È una strada lunghissima, si capisce, ancora piena di cantieri che neanche la Salerno-Reggio Calabria, però questa non è che una conferma della inattualità del suo pensiero, del suo essere un classico, che ci parla ancora oggi.

Pascal era appassionato della verità e, in nome di essa, non ammetteva interferenze: la fede è fede, la scienza è scienza, ci sono discipline in cui l'autorità è da prendere come oro colato e altre in cui la «prevenzione» (la fiducia cieca nell'ipse dixit) è dannosa e, fra queste ultime, ci sono quelle scientifiche. La ragione non può dire nulla su Dio, ma i teologi non dicano se la Terra gira oppure no. E anche in questo suo essere né scientista né oscurantista Pascal è estremamente moderno, basta leggere la Prefazione al Trattato sul vuoto.

Chi era Pascal? Risponde Maria Vita Romeo: «Era un pensatore innamorato della vita, tanto da dedicare la sua a svelare all'uomo sé stesso. Ed è, forse, uno dei pochi pensatori che ci indicano una via della felicità, non solo in Dio, ma anche terrena: essere, non apparire». Pascal mette a nudo l'uomo: «Ti spoglia, ti mette di fronte alla realtà e, allora, puoi chiudere il libro, oppure iniziare a riflettere...».

Qualcuno chiuderà il libro, del resto Pascal scriveva che l'uomo vive di illusioni e menzogne, e quindi «non vuole che gli si dica la verità». Ma, anche questo, ha «una radice naturale nel suo cuore», è anche questa una verità, con cui tocca fare i conti.

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