Il pensiero autonomista ha molti padri e ispiratori in ogni epoca storica. Fu Umberto Bossi, nel '95, a farne un partito attivo e agguerrito quale lo conoscemmo nel tripudio popolare di Pontida. Da allora la Lega Nord, desunta dalla prima Lega Lombarda, ebbe nei vent'anni successivi un enorme travaglio e parecchie mutazioni, attraverso l'apporto fondamentale di Gianfranco Miglio, Oneto e altri epigoni del pensiero secessionista. Il centralismo italiano, timoroso di cambiamentI troppo radicalI, bollò la Lega di xenofobia.
In Il pensiero leghista (Italia Storica, pagg. 282, euro 18, pref. DI Emanuele Ricucci), Andrea Rognoni, direttore del Centro Regionale della Cultura lombarda, storico militante della Lega, spiega l'ideologia leghista e gli eventi che ne fecero un fenomeno politico inedito e originale. Il libro offre un vasto panorama di idee e personaggi che nei secoli hanno ispirato il federalismo moderno. La grande mutazione nella Lega avvenne nel 2013, quando da Bossi, fondatore e guida carismatica del partito (ma fisicamente sofferente), la guida passò al giovane rampante Matteo Salvini. Bossi usciva di scena, ma non del tutto. A ogni elezione, il partito gli garantiva la nomina di senatur. Salvini aveva vinto le elezioni di partito ed era diventato segretario con pieni poteri. Subito compie due gesti altamente significativi, che fanno presagire il nuovo corso: toglie dalla Lega la parola «Nord» e cambia colore al partito, non più verde ma una sfumatura di blu (ma resta l'icona di Alberto da Giussano). Il partito non è più secessionista: è diventato italiano. Quello che colpisce di più è l'abbandono del padanismo, scrive Rognoni. Secondo Salvini il padanismo ha fallito «perché si configurava con un programma troppo marcato e sfacciato nei confronti dello stato italiano». La contrapposizione frontale del Nord al Sud e l'antirisorgimentalismo causavano condizioni di ostilità e odio da parte di Roma e del Meridione. Il progetto salviniano è meno traumatico. Si tratta di inquadrare la lotta per l'autonomia regionale in un tessuto che non rinnega l'unità della penisola. Insomma, più autonomia amministrativa e non più secessione. Però la staticità dello Stato italiano non fa sperare che ciò avvenga. Anche il termine «federalismo» è sempre meno usato, Salvini preferisce parlare di «federalismo ragionevole» che liberi «dal giogo romano le comunità territoriali».
La prerogativa conservatrice e di destra della Lega sfocia nel cosiddetto «sovranismo», così come il motto, un tempo padanista, «padroni a casa nostra» si estende all'Italia intera. Il populismo della nuova Lega scende in difesa dei lavoratori, il cui nemico non è il padrone, ma proprio chi arriva da lontano accettando una scarsa remunerazione e ritmi di lavoro gravosi.
Salvini conferma «di essere nato comunista padano», ciò che lo fa sentire vicino ai lavoratori, gli operai, i disoccupati, gli esodati. Nessuna contraddizione con il partito repubblicano (versione americana) che vorrebbe fondare con l'apporto dello schieramento di centrodestra.
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