Quella del direttore d'orchestra è una delle professioni più affascinanti e glamour che vi siano. Il direttore è lì, sul podio, svettante nel mare di leggii che conduce e ispira. Ma è il lavoro che precede quest'atto finale a determinare l'esito di un concerto e l'identità dell'orchestra stessa. È la quotidianità dura e pura, quella che non si vede, a fare la differenza. Da tre anni a questa parte, della quotidianità dell'orchestra della Scala se ne occupa Riccardo Chailly, direttore musicale della Filarmonica e del Teatro stesso. Dopo un decennio di stasi, ha riportato la Filarmonica nelle sale di incisione, quindi in tournée nelle città e sedi che contano. Tessera dopo tessera sta allargando il repertorio. Lunedì prossimo (il 6 novembre) inaugura la stagione della Filarmonica 2017-18 con un programma che in gennaio porterà nelle capitali d'Europa, Vienna in testa. Un programma russo, che combina velluti e golosità timbriche di Cajkovskij (Seconda Sinfonia) agli spigoli e asciuttezze di Stravinskij (Petruka e Chant funèbre). In tema di tournée: quanto conta per un'orchestra essere presente nelle sale che contano? Qual è il ritorno: è solo una questione di visibilità internazionale o anche di crescita? «In questi anni è sempre più complesso avere attività internazionale. Se avviene è perché uno ha qualcosa di irripetibile da dire. E questo non si identifica con il solo direttore, ma con l'orchestra stessa. È importante essere presenti all'estero e nelle sale di incisione: solo così si entra in un contesto internazionale», spiega Chailly, 64 anni, milanese. Dopo tre anni di lavoro fitto, è soddisfatto del risultato ottenuto? Su cosa continuerà a lavorare? «Continueremo a lavorare sulla flessibilità del suono. La Filarmonica sta dando risultati evidenti in tal senso. Ha una sensibilità stilistica oltre che musicale. E questo aspetto lo si matura se si ha la conoscenza del repertorio. Solo allora puoi svolgere un percorso in più». Nel repertorio della Filarmonica ci sono tutte le sinfonie di Cajkovskij, «in previsione delle celebrazioni del 2020, Beethoven sarà un ulteriore tassello importante: è un Beethoven molto personale il mio, affine al gusto dell'orchestra».
Continuerà la linea russa aggiungendo altro Stravinskj ma anche Sostakovic, «autore molto amato da me e dalla Filarmonica, sembra quasi consanguineo, c'è una grande intesa con questo compositore». È un cliché o una realtà quella delle orchestre italiane non sempre ineccepibili quanto a disciplina? «La disciplina, in realtà, è cresciuta. Anzi. È bello vedere cosa accade in sede d'esecuzione. La Filarmonica ha una forte capacità di concentrazione».
La Filarmonica è poi un esempio virtuoso perché svolge una funzione pubblica con soli fondi privati. Un connubio vincente, perché «il privato assicura una maggiore libertà e flessibilità rispetto ai vincoli posti dall'ente pubblico. La cosa determinante è che pubblico e privato dialoghino», ancora Chailly. Mentre decolla la stagione dei concerti, Chailly lavora alla prima della Scala.
Il 7 dicembre va in scena Andrea Chénier di Umberto Giordano. «Ho fatto già vari incontri con il regista e con il tenore, perché quello del tenore è un ruolo fondamentale in questa opera. Yusif Eyvazov è molto disponibile, si applica con convinzione a quello che stiamo facendo».
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