Pirandello in "Liolà" vestì di falsa allegria l'ossessione per la ricchezza e il sesso

Il regista Francesco Bellomo rivisita il capolavoro dello scrittore siciliano

Pirandello in "Liolà" vestì di falsa allegria l'ossessione per la ricchezza e il sesso

Non è un caso che Francesco Bellomo, regista e produttore teatrale agrigentino classe 1963, abbia scelto di firmare la regia di Liolà, commedia del 1916 di Luigi Pirandello, suo illustre concittadino: la drammaturgia, infatti, è considerata il capolavoro del teatro dialettale dell'autore siciliano, ed è caratterizzata da ritmi briosi e quasi scatenati. Un testo solo apparentemente leggero, però, che Pirandello scrive in un momento piuttosto complesso e doloroso della sua vita (il figlio era detenuto in un campo di prigionia di guerra, mentre la moglie soffriva di crisi sempre più frequenti della sua malattia mentale).

«L'allegria e la spensieratezza dei personaggi di questo spettacolo è solo apparente» spiega il regista al Giornale.

Infatti Liolà è la storia dell'ossessione del ricco Simone Palumbo (interpretato da Enrico Guarneri) che, nonostante i quattro anni di matrimonio con la giovane Mita (Alessandra Ferrara) non ha ancora un figlio a cui lasciare le sue proprietà e beni. Su di lui e su questa assillante preoccupazione convergono i piani dei giovani Liolà, interpretato da Giulio Corso, Tuzza (Roberta Giarruso) e Mita.

Il primo in particolare è uno spensierato bracciante, un seduttore, «un dongiovanni senza morale»: con il suo comportamento, scombussola l'apparentemente morigerata società in cui si muove. Ecco così che Tuzza, incinta di Liolà, suggerisce allo Zio Simone di attribuirsi la paternità del figlio che ha in grembo, mettendo così a tacere le male lingue. Per Bellomo la trama si svolge in un borgo marinaio, e Simone Palumbo è qui un commerciante di zolfo che ne governa le attività economiche. Tenta di camuffare con la sua ricchezza la sua impotenza. Tuzza pensa di assicurarsi l'avvenire, e di vendicarsi di Liolà e anche di Mita che a sua volta ha sposato il vecchio benestante, creandosi una posizione alla quale lei stessa aspirava.

Per Bellomo il finale si discosta da quello pirandelliano, proponendo una tragica fine di Lilolà: «il divertimento in questa commedia è solo di fondo. Ogni personaggio ha un dramma dentro, e la morte di Liloà li racchiude». Una commedia che si propone come un'escalation di colpi di scena, e in cui però non è forte il tema della pazzia, che invece spesso esiste in Pirandello: «ci colleghiamo più alla satira greca.-spiega Bellomo-, anche se con un finale non certo sereno». Come succede in certe fiction di oggi? «certo. La maggiore attualità di Pirandello secondo me sta nei temi -spiega Bellomo al Giornale-. Oggi sarebbe un apprezzato scrittore di fiction: è molto vicino ancora alla mentalità delle persone».

Una commedia ricca di sfumature, come è il carattere delle donne, del resto così numerose in scena: «effettivamente le quote rosa qui sono altissime- afferma Bellomo-, tra cui Alessandra Ferrara e Anna Malvica, che interpreta Zia Croce, sono sempre con me. E' uno dei motivi per cui realizzare questo spettacolo è una bella esperienza, umana e professionale».

Liolà di Luigi Pirandello, al teatro Quirino - Vittorio Gasman di Roma sin al 16 febbraio

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