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Il giovane Brenno Placido prosegue con bella baldanza la sua carriera di figlio d'arte presentando sulla ribalta di Todi una sua personale rilettura delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, uno dei capolavori della poesia italiana alla svolta del diciannovesimo secolo. Un'opera che fruttò al suo autore Ugo Foscolo, il poeta italiano nato a Zacinto che si considerava di pura stirpe ellenica, giustificati consensi ma anche acerbe critiche per aver parafrasato ai limiti del plagio il più famoso I dolori del giovane Werther, il capolavoro del grande Goethe. Che l'italiano non si curò di citare con più di un innesto ammantandolo di nuovi aggettivi e sostantivi tali da non nuocergli in un'Italia ancora lontana dall'indipendenza. Tanto che dai più fu definito una ragazzata e, in Francia, come un libro nero frutto di una sensibilità morbosa che viveva di un'esaltazione smodata e addirittura decadente, anche se scritto in epoca romantica. Con un'accesa sensibilità lirica, il giovane Placido ne fa un prototipo dell'angoscia contemporanea in un Paese come il nostro, che stenta a trovare una sua autonoma ragion d'essere.

La sua bella prova vive di accenti appassionati e di un trasognato lirismo che ben si adatta all'idealismo morboso di un'età dello spirito e dei sensi che ancor oggi non trova tregua e fa ben sperare per la sua carriera. Un passo più in là e presto, glielo auguriamo, non lo ritroveremo nei panni di Werther ma in quelli del pallido principe Amleto.

ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS - Todi, Teatro Festival.

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