Pugni chiusi e bandiere rosse. Così Rossini diventa socialista

Il regista cambia l'epoca del Guillaume Tell infilandoci falce e martello. La vicenda patriottica medioevale riletta come umiliante lotta di classe

Pugni chiusi e bandiere rosse. Così Rossini diventa socialista

da Pesaro

Appena entrato in sala, lo spettatore del Guillaume Tell che domenica ha debuttato al Rossini Opera Festival di Pesaro, trova un sipario su cui campeggia - su fondo rosso - un enorme pugno chiuso. Brividi e perplessità: anche qui la buttano in politica? Ebbene, nonostante tutto, la lotta di classe in cui il regista Graham Vick ha trasferito l'originaria vicenda patriottica non diminuisce la qualità dello spettacolo, anche se resta il dubbio che rispetti lo spirito della musica rossiniana.

Andiamo per ordine. Nella vicenda originale Rossini celebra la rivolta che nel medioevo aveva contrapposto il popolo svizzero, guidato dall'eroico Tell, all'amministratore locale degli Asburgo, il balivo Gessler. Come ormai quasi tutti i registi lirici fanno, anche Vick opera un cambiamento d'epoca. Così l'ambientazione viene spostata nel periodo ante Prima guerra mondiale che risentiva, anche in Italia, del diffondersi di sentimenti anarchici e socialisti. Per questo gli oppressi qui inalberano i pugni chiusi e le bandiere rosse.

Eppure la forzatura ideologica non compromette la riuscita d'uno spettacolo sostanzialmente non realistico. Il tema esaltato da Vick è infatti quello, più ampio, della Libertà contro l'Oppressione. Così egli annulla la presenza (pure essenziale, nel Tell) della Natura, e serra tutta l'azione in uno spazio chiuso, che è astratto ma ricorda una camera di contenzione manicomiale, dall'alto della quale i ricchi «austriaci» osservano divertiti gli umiliati, e fra i quali scenderanno con degnazione, turandosi il naso. Nel camerone la Natura appare solo a spiragli, dalle fessure, proprio come orizzonte negato ad un popolo privo della libertà; e irromperà solo alla fine, nelle immagini filmate del lago in tempesta, quando - non a caso - le ombre del popolo impugneranno anche delle falci e dei martelli. Aver recluso l'azione in questo camerone astratto e severo, offre due vantaggi. Primo: la narrazione, non più realistica, procede per simboli. Ma niente di astruso; al contrario: immagini (come quella di uno dei cavalli montati dai dominatori che si ritroverà in scena decapitato, a significare la sanguinaria ribellione dei dominati) che potenziano l'intensità del dramma. Secondo: la nudità dell'ambiente sottolinea ed esalta i rapporti psicologici fra i personaggi. Raramente abbiamo visto dei cantanti recitare con tanta tensione delle emozioni cantate. E con una concentrazione tanto più esemplare, in un'opera di così ampie - e spesso dispersive - proporzioni. Ma il modo in cui la regia ha interpretato con sensibilità moderna lo spirito senza tempo della musica di Rossini, s'è visto nelle danze. Questi balletti, che l'operista scrisse solo perché costretto, e che lo spettatore moderno accetta solo come un'appendice estranea all'azione, grazie al coreografo Ron Howell ne divengono parte integrante. Prima come ballo di emozionata e spavalda tenerezza di tre coppie di sposi; poi come danza folcloristica cui gli oppressori obbligano gli oppressi, per poterli poi crudelmente umiliare. In questo modo anche il celebre episodio della mela che Tell deve centrare con la freccia sulla testa del figlio, assume il rilievo di un ultimo, ancor più sadico gioco.

È chiaro che l'intensa carica emotiva di questo spettacolo si sublima, infine, soprattutto grazie alla musica. Che la potente direzione d'orchestra di Michele Mariotti ha nitidamente sbalzato nelle sue monumentali architetture, fin dall'applauditissima sinfonia. E che il coro, autentico protagonista, ha esaltato.
Il canto smagliante del divo Juan Diego Florez (al debutto nel ruolo di Arnold) ha vibrato come non mai nel magnifico trio con Tell (un eccellente Nicola Alaimo) e Walter (l'ottimo Simon Orfila); e ha trascinato all'entusiasmo nell'appassionato duo Où vas-tu? con la tornita Marina Rebeka (interprete di uno struggente Sombre foret).

Fino all'apoteosi conclusiva, quando il popolo trionfa sul tiranno, e dal soffitto del camerone cala un'immensa scalea, sulla quale il figlio di Tell potrà avviarsi, come verso l'infinito cielo della libertà. O verso il sole dell'avvenire visto il tripudio di bandiere rosse. Grandi ovazioni della platea, che hanno sommerso i pochi «buuuh!».

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