Muti: "In questo Verdi pessimista c'è il lato oscuro del potere"

Il direttore d'orchestra porta a Roma "I due Foscari", opera giovanile poco rappresentata. E rinnova la sua collaborazione col regista Werner Herzog

Muti: "In questo Verdi pessimista c'è il lato oscuro del potere"

Incontriamo al Teatro dell'Opera di Roma il maestro Riccardo Muti durante le prove dei Due Foscari, opera con la quale il celebre direttore d'orchestra prosegue un discorso verdiano partito da lontano e giunto all'anno delle celebrazioni bicentenarie.
Fra le opere di Verdi giovane, i Foscari hanno un colore personale, molto cupo.
«La tinta generale è scura. È un'opera singolare rispetto a tutte le altre. Segue Ernani, che da un punto di vista strumentale è più sontuoso, ma si impone con un'orchestra semplice solo apparentemente e al servizio della voce. Ci sono però momenti sorprendenti, come l'inizio del secondo atto, affidato ad un violoncello e ad una viola solista, il cui timbro cameristico evoca la situazione lugubre e tragica della prigione. Le linee dei due strumenti si snodano in maniera superba».

Altro elemento di interesse sono quelli che il musicologo Massimo Mila chiamava «biglietti da visita», che presentano i protagonisti.
«Un motivo del clarinetto di grande desolazione, tipicamente verdiana, accompagna Jacopo Foscari condannato all'esilio e alla separazione dai suoi affetti più cari; mentre un agitato e impetuoso motivo degli archi precede Lucrezia Contarini, moglie del giovane Foscari, definendone il carattere tumultuoso. Verdi mostra di avere già le idee molto chiare su come dare il giusto carattere ai personaggi».

Non solo nei riguardi dei solisti, ma del coro.
«Una marcia segnala le entrate degli spietati membri del Consiglio dei Dieci. Di solito il tempo di marcia è in ritmo binario. Qui Verdi la scrive in ritmo ternario, sottolineando l'aspetto sinistro e lugubre del Potere, sembra quasi un walzer diabolico».

Un Male che schiaccia Foscari padre e figlio.
«È una delle pochissime volte in cui nel finale Verdi non si rivolge al cielo, alla trascendenza. Il Male, dietro l'apparente osservanza della Legge, prevale sul Bene. Dura Lex, sed Lex. Per quest'opera permeata da cupo pessimismo ho pensato ad un regista importante come Werner Herzog con il quale avevo già lavorato alla Scala per la Donna del lago di Rossini, e soprattutto per il Fidelio di Beethoven».

La minore frequentazione di questo titolo verdiano è dovuta alla «tinta» pessimistica?
«Uno dei fattori penso che sia il grande impegno dal punto di vista tecnico richiesto ai tre protagonisti, essendo un'opera affidata al dominio vocale. E poi la Venezia che mostra è del tutto inattesa, senza pittoresco: anche il canto dei gondolieri acquista nostalgia e tristezza».

Domino vocale non significa dominio delle voci.
«Insisto sempre su questo concetto chiave. La libertà vocale deve stare in un solco ed è in stretto rapporto con la musicalità, il fraseggio e l'intelligenza artistica del cantante. Non tutti sono Fischer-Dieskau. Più il cantante offre un'idea interpretativa lodevole più il direttore può dare maggiore libertà».

Questo investe la natura stessa del rapporto fra direttore e cantante, un rapporto che fuori dai nostri confini è stato spesso frainteso come caratteristica italiana.
«Siamo stati, infatti, accusati di eseguire musicisti come Bellini, Donizetti e Verdi che vengono bollati come zum-pa-pà, come puro "accompagnamento". È un equivoco: le figurazioni ritmiche non sono elementi che accompagnano ma che si intrecciano al canto, gli danno vita e sangue. Errato dire: il direttore ha accompagnato. Un direttore dovrebbe fare musica insieme a chi canta: ogni accordo in orchestra è una preparazione o una conclusione di una frase cantata».

A proposito di musicisti italiani dell'Ottocento, Saverio Mercadante nei «Due Figaro» - opera da lei incisa e adesso in uscita per l'etichetta Harmonia Mundi - aveva le idee chiare.
«In Mercadante ci sono elementi che richiamano e anticipano intuizioni melodrammatiche che sono venute dopo.

Ci sono elementi che richiamano il Verdi che verrà insieme ad intuizioni melodiche che appartengono al mondo belliniano: le radici di entrambi sono nella scuola napoletana. Il successo dei due Figaro a Salisburgo, Ravenna, Madrid e al Colòn di Buenos Aires, mi incoraggia».
Considerazione finale: Riccardo Muti che parla o esegue musica non è solo fonte di conoscenza, ma vero piacere.

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