La rabbia teatrale dei Maneskin. "Siamo rock ma non scemi"

La band pubblica il disco "Teatro d'ira" e annuncia il tour. Le parolacce di "Zitti e buoni"? "Tolte per l'Eurovision"

La rabbia teatrale dei Maneskin. "Siamo rock ma non scemi"

Oggi il lato più rock dei Maneskin è che hanno appena vinto il Festival di Sanremo ma non ne parlano mai. Ieri hanno presentato il nuovo disco Teatro d'ira vol. 1 (che esce domani) e lo hanno fatto alla vecchia maniera: prima hanno suonato quattro pezzi, poi hanno risposto alle domande. Erano, beati loro, in un vecchio mulino ad Acquapendente, provincia di Viterbo, dove hanno registrato le nuove canzoni con tutto il «vecchio» armamentario degli studi rock, compresi gli amplificatori Marshall. «Abbiamo intitolato il disco Teatro d'ira perché vogliamo collocare la nostra rabbia in un contesto che la trasformi in positività» ha spiegato Damiano.

Missione riuscita: otto brani «scheletrici», ossia costruiti solo su voce, basso, chitarra e batteria, testi belli dritti come Lividi sui gomiti o, soprattutto, I wanna be your slave che ha il lato bello di ricordare titoli celebri di Stooges e Ramones, mica di qualche trapper usa e getta. «Parliamo di schiavo e di master in un brano sulla sessualità che ci sembra inutile racchiudere in scompartimenti stagni» dice sempre lui, Damiano che è ambiguo quanto basta per non essere (ancora) messo a fuoco perfettamente. A proposito di testi. Il brano con il quale hanno vinto il Festival, ossia Zitti e buoni, arriverà un po' più accorciato all'Eurovision Song Contest e soprattutto con qualche modifica nel testo. Obiettivo: rimuovere le «parolacce». E così «Vi conviene toccarvi i coglioni» è diventato «Vi conviene non fare più errori», mentre «Non sa di che cazzo parla» a Rotterdam sarà «Non sa di che cosa parla». Uno può pensare: ma come, i Maneskin si dicono rock però accettano senza fiatare di cambiare il testo. In realtà, si sono soltanto adeguati al (comprensibile) regolamento dell'Eurovision. Come spiega Damiano, «di certo non ci ha fatto piacere cambiare il testo, ma è una questione di buon senso: era meglio cancellare una parolaccia, che lascia il tempo che trova, pur di fare una cosa così importante. Siamo ribelli ma non scemi». E il concetto di buon senso torna anche sulla questione Instagram, che ha rimosso una foto nella quale Damiano si tocca le parti intime: «Non era fondamentale, sarebbe stato inutile toglierla e poi ripostarla, anche perché con Instagram un po' ci lavoriamo». In poche parole, al netto di successi e stream (18 milioni solo per Zitti e buoni), l'attitudine dei Maneskin si riassume nelle parole della bassista Maneskin, una con le idee chiare: «Noi facciamo la nostra musica e se non piaciamo a qualcuno, sticaz..». I tifosi di lunga data del rock duro non ci trovano nulla di particolarmente innovativo nei riff dei Maneskin o nella presenza scenica di Damiano, e anche questo è abbastanza rituale.

Ma il pregio di questa band, che ha iniziato a suonare con il piattino davanti in Via del Corso a Roma e poi è sbocciata a X Factor, è di portare l'eco di certi suoni ai loro coetanei ventenni che faticano a riconoscere persino i Led Zeppelin, figurarsi gli altri caposcuola del rock duro. «Beh, senz'altro non siamo i Led Zeppelin, ma dateci tempo», dicono con scherzoso ottimismo. Damiano riassume tutto citando Ozzy Osbourne senza nominarlo: «Per essere rock devo per forza strappare la testa a un pipistrello?». Per carità.

Intanto hanno un tour nei palasport bell'e pronto (prima data esaurita il 14 dicembre a Roma) e un concerto all'Arena di Verona il 23 aprile. Ed è pronto un brano registrato con gli inglesi The Struts, che hanno pubblicato da poco Strange days con Robbie Williams. Come dopofestival, diciamola tutta, non è poi così male.

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