Un valido motivo per vedere Ma Rainey’s Black Bottom, il nuovo film Netflix Original in uscita oggi sulla piattaforma, è quello di assistere all’ultima interpretazione di Chadwick Boseman, noto al grande pubblico per aver impersonato Black Panther nella saga degli Avengers e morto mesi fa, poco più che quarantenne, per un cancro al colon. Non solo è probabile che l’attore riceva una nomination postuma ai prossimi Premi Oscar ma è anche già dato per favorito alla vittoria.
Adattamento cinematografico dell’omonimo spettacolo del 1984 di August Wilson, “Ma Rainey’s Black Bottom” è ambientato verso la fine dei ruggenti Anni ’20. Fatta eccezione per alcuni momenti che hanno per sfondo le strade di Chicago, l'azione si svolge all'interno di uno studio di registrazione dove la “madre del blues”, la cantante Ma Rainey (Viola Davis), è attesa per incidere alcune tracce del nuovo disco. In particolare, la sessione di registrazione verte sul brano che dà il titolo al film, un pezzo che la donna è intenzionata a rendere immortale alle sue regole. Per prima cosa si rifiuta di usare l’arrangiamento di Levee (Boseman), insolente e giovane trombettista che mette a dura prova i nervi degli altri componenti della band (Colman Domingo, Glynn Turman e Michael Potts). Poi, insiste con manager e produttori per avere il nipote (Dusan Brown) a recitare la intro del brano, sebbene il ragazzo sia balbuziente e questo significhi gettare ore di lavoro prima di raggiungere il risultato.
Al centro della scena, in momenti diversi, sono soprattutto i personaggi interpretati dalla Davis e da Boseman. La prima, alle prese con la figura di Ma Rainey, appare irriconoscibile ma efficace: riesce a trasmettere sia la risolutezza sia la sensibilità dell’iconica performer. La cantante è infatti interiormente recalcitrante all’idea di permettere a uomini bianchi di lucrare sulla sua voce, ma sa anche che è in quest'ultima che risiede la sua rivalsa. La vocalità eccezionale l’ha condotta dalla posizione vulnerabile in cui è nata a quella di potere in cui si trova. Ora può far valere la propria volontà, che si tratti di capricci da diva o prese di posizione artistiche e professionali.
Il suo, però, non è l’unico spirito indomabile e caparbio presente nello spazio angusto dello studio seminterrato. Tra quelle pareti di mattoni rivaleggia, infatti, con l’anarchica vanità di Levee, che ha fatto di un paio di fantasiose scarpe nuove il proprio vessillo. I modi appariscenti con cui l’uomo, un'autentica mina vagante, si lascia andare a soliloqui ora pieni di entusiasmo ora di rabbia, rivelano come in lui l’ambizione si accompagni all’inquietudine. Accecato da un dolore che viene da lontano (il tentativo, nell’infanzia, di difendere la madre da una banda di stupratori bianchi), si renderà protagonista, verso la fine, di una tragedia dalla spericolata (e un po’ artificiosa) imprevedibilità.
Il film esplora il rapporto tra bianchi e neri, mostra l’autodeterminazione degli afroamericani e ammonisce riguardo ai dissapori che possono nascere anche tra chi lotta per gli stessi ideali. Tra gli argomenti trattati non ci sono solo la storia della gente di colore, ivi compresi certi aneddoti dei singoli, ma l’uguaglianza degli uomini davanti a Dio e il potere salvifico della musica.
Nel film è cercato un risarcimento esistenziale a ritmo di blues da parte di individui che hanno la stessa vivida malinconia di fondo e la passionalità agrodolce del genere musicale di cui si nutrono.
Oltre alle performance attoriali a brillare sono i dialoghi, credibili e profondi.
La fotografia è splendida, i brani immortali e i costumi di fascino, ma può darsi che la staticità da produzione teatrale in piena regola renda “Ma Rainey’s Black Bottom” indigesto a buona parte del pubblico.Di sicuro capita rare volte di contemplare su uno schermo la disamina di solchi tanto eterogenei quanto indelebili: le incisioni sui vinili, le cicatrici sui corpi, i segni sulle anime.
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