La ribellione della claque che stravolge i talk show

La ribellione della claque che stravolge i talk show

Una volta si ribellavano le masse, come ci ha spiegato agli inizi dello scorso secolo Ortega Y Gasset. Oggi, molto più prosaicamente, si ribellano le claque. E per claque intendiamo il pubblico in studio, quello che, nella tradizione catodica, era docile e alquanto mansueto. Sempre pronto a incoronare la battuta con una tempestiva risata e a scandire lo show con ritmati e scroscianti applausi. Tutto calcolato e tutto preciso. Una specie di coro gestito da un suo corifeo. Ma nell'ultimo periodo qualcosa è cambiato. Saranno i venti della democrazia diretta o la deformazione da social network ad esprimere sempre e comunque il proprio assenso e (soprattutto) il proprio dissenso. Ma il pubblico degli show non sembra più essere una massa condiscendente pronta a sdilinquirsi in gesta di approvazione. Il pubblico ha iniziato a ribellarsi. A lamentarsi. A rumoreggiare. A rompere le palle.

È come se nelle sit com americane, nei momenti topici delle gag, invece che le risate registrate partissero dei buuuu. Salta il rapporto causa-effetto. È la commedia che fa piangere e la tragedia che fa ridere. Si rovescia tutto. Beh, ultimamente qualcosa di simile lo abbiamo visto nei nostri show.

Facciamo qualche esempio a cavallo tra l'intrattenimento e l'informazione. Il Fogli-gate all'Isola dei famosi è noto a tutti e ha scatenato un lungo strascico di polemiche. Polemiche anticipate dal pubblico in studio, che si è mostrato subito sdegnato nei confronti dell'assalto di Fabrizio Corona. E, con un inusuale effetto domino, l'indignazione è rimbalzata sui social, poi sui media tradizionali fino a tornare all'interno dello stesso programma. Che ha immediatamente preso provvedimenti.

Ma i casi più eclatanti di pubblico «disubbidiente» si sono visti altrove. La scorsa settimana a Di Martedì, il prestigioso salotto politico di Giovanni Floris, tra gli ospiti figuravano il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli e Concita De Gregorio. Immediato e prevedibile lo scontro tra la giornalista saputella e il ministro gaffeur. Lei lo infilza e Floris, con una punta di compiacimento, lo rosola per bene. D'altronde non è difficile cogliere in fallo il pentastellato. E il pubblico? Il pubblico, unito come un sol uomo, molla il padrone di casa e blinda in una pioggia di applausi lo sconsiderato grillino.

Ma il meglio va in onda due sere dopo, sempre su La 7, a Piazza Pulita. In ospite c'è Simone, romano di Casal Bruciato, il quartiere nel quale è scoppiata una rivolta contro l'assegnazione di una casa popolare a una famiglia rom. Simone non ha dubbi e sentenzia: «I rom sono diversi, non sono uguali a noi. Insegnano ai figli a fare cose che noi non insegneremmo mai». Una frazione di secondo di silenzio. Simone ha detto a Piazza Pulita, che non è esattamente Pontida, una frase dal sapore deciso del politicamente scorretto. Giusto una frazione di secondo e in studio esplode l'applauso del pubblico. Formigli trasecola, tradito dai suoi stessi ospiti, e prende le distanze: «Mi dissocio dall'applauso. È un gesto che mi fa paura». Il pubblico si smarca dalla linea del conduttore e il conduttore sconfessa il pubblico. È il cortocircuito della tv per come la abbiamo conosciuta fino a oggi. La totale disintermediazione, con un conduttore che non conduce il pubblico ma anzi si scontra con esso. La democrazia diretta che irrompe nel piccolo schermo portandosi dietro la sua sindrome compulsiva da social. D'altronde il primo a litigare con il pubblico era stato proprio un grillino.

Alessandro Di Battista, anch'egli ospite di Floris, si era messo ad elemosinare applausi dal pubblico, accusandolo di esserne avaro. È stata una delle sue ultime apparizioni televisive, poi è scomparso dai radar dei media e della politica. Vorrà dire qualcosa...

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