Lo spettacolo di cui stiamo per parlarvi è altamente sconsigliato a persone eccessivamente sensibili, convinti cattolici, difensori dei diritti Lgbt, transessuali, travestiti, omosessuali, vittime di qualsivoglia tipo di molestia, handicappati, malati di pressoché qualunque morbo, uomini di colore, ebrei, cinesi, bambini, vittime dell'olocausto, donne, femministe e praticamente qualunque altra categoria sulla quale, solitamente, non si è abituati a fare ironia pesante. Molto pesante. Uno humour nero come la pece e la morte che molto spesso fa arrossire.
Ma la lista potrebbe essere, anzi è, infinita. Provate a pensare alla cosa che secondo voi non si dovrebbe mai dire? Ecco quella cosa lì, quella che avete appena messo a fuoco e che probabilmente vi vergognate anche un po' di pensare, qualunque essa sia, sicuramente è contenuta in uno spettacolo di Ricky Gervais. Il re della stand up comedy portata alle sue estreme conseguenze, il blasfemo che bestemmia a squarcia gola nella chiesa del politicamente corretto. Preparatevi a ridere, ma tanto, di tutti quei temi sui quali le vestali del pensiero mainstream non vorrebbero neppure che coltivaste dubbi, figuriamoci delle spernacchianti e liberatorie sghignazzate. E per sicurezza mettete i bambini a letto e, se avete dei vicini di casa piuttosto suscettibili, abbassate anche il volume del televisore.
L'ultimo show del comico inglese si chiama Supernature ed è approdato da qualche giorno su Netflix (anche in Italia). Con un inevitabile strascico di polemiche. Cosa che probabilmente sia l'attore che la piattaforma avevano meticolosamente studiato. Ed è molto divertente che la Netflix giudicata da Elon Musk inguardabile perché troppo liberal e succube del virus Woke, pubblichi uno dei contenuti più provocatori e ustori in circolazione. Perché Gervais è un coinquilino ingombrante e in un'ora e quattro minuti sbeffeggia, sbertuccia e demolisce tutti i feticci e le sottoideologie radical che sono alla base di buona parte della produzione del colosso dello streaming, tutto quel bel mondo di sedicenti perbenisti che nel nome dell'arcadia dell'inclusione sbattono porte in faccia a chi la pensa diversamente e lo chiudono fuori dal privé del politicamente corretto.
A partire dal culto dei diritti del mondo Lgbtq+eccecc, specialmente quando si trasforma in spocchioso complesso di superiorità. E, guarda caso, è proprio su questo argomento che la critica anglosassone ha cercato di fare la pelle a Gervais. Non perché ha mimato atti sessuali di ogni sorta, ha proposto di dare i nani come metadone per i pedofili o ha ipotizzato di picchiare bambini disabili (ma gli esempi sono infiniti e se riportassimo alcune delle battute presenti nel suo spettacolo - probabilmente le più divertenti - la versione online di questo articolo verrebbe sicuramente bannata dal bigottissimo algoritmo di Google e dei social network). No, la sua colpa è aver fatto ironia sui transessuali. Pungente, pungentissima, caustica, certo. Ma sacrosanta, irriverente e liberatoria ironia. Con lo spillone della satira ha forato - ancora una volta e più di prima - la bolla plumbea del galateo liberal. Un esempio: «Parlo di quelle donne all'antica. Oddio. Quelle con l'utero. Quei fottuti dinosauri. Adoro le nuove donne. Sono fantastiche, vero? Le nuove donne che si vedono ora. Quelle con la barba e il ca**o». Siamo solo all'inizio e la sta ancora toccando pianissimo. Ma, usando un termine orribile, non siamo qui per spoilerarvi un bel nulla. Terminati i 64 minuti più deliranti che possiate trovare online, se siete sopravvissuti, se non vi siete offesi in quanto ciccioni, africani, travestiti o molte altre cose, se non avete spento la tv e non hanno fatto irruzione nel vostro appartamento i gendarmi del pensiero unico, probabilmente state riflettendo sullo stato di salute della libertà di espressione nel mondo occidentale. Forse non era necessario toccare temi così scabrosi e disegnare nell'aria con le mani organi genitali di varia foggia per ottenere il medesimo risultato, ma in realtà il suo monologo è una riflessione a cervello aperto e ben visibile sulle degenerazioni cancerogene del politicamente corretto. Un paradosso in forma di spettacolo sull'ipocrita e pelosa difesa delle minoranze che si trasforma in una dittatura che tiene in scacco la maggioranza, mozza le lingue di chi la pensa diversamente, schiaffeggia il senso comune e ha pure la pretesa retroattiva di cancellare dal passato tutto quello che oggi sarebbe fuori dalla zona traffico limitato del pensiero (!) dominante. Va da sé che una roba del genere in Italia non potrebbe farla nessuno: la sinistra dichiarerebbe lo stato di emergenza morale nazionale, i militanti dell'Arcigay, del Moige e di tutte le associazioni esistenti da Trieste in giù si farebbero esplodere nella pubblica piazza, i giornali sarebbero pieni di articolesse indignate e in Parlamento si accumulerebbero le interpellanze contro l'indecente spettacolo. Per fortuna (per ora) possiamo vederlo su Netflix.
Sia chiaro: Gervais non è né un profeta, né un filosofo e tantomeno un attivista politico. È un attore e comico multimilionario (lo ripete più volte con molto compiacimento durante i suoi spettacoli, senza nessun senso di colpa cattocomunista, e noi ce ne compiacciamo) che fa il suo lavoro.
Ma è un sano antidoto alle lagne e alle censure perbeniste. Antidoto da somministrare con cura. Gervais, a suo modo, è il lenzuolo che ogni tanto ci permette di evadere dal carcere del politicamente corretto. Merce preziosa, di questi tempi.
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