Festa del Cinema: Roma s’inchina a James Ivory, tra omaggi e masterclass

Il grande regista ha ricevuto il Premio alla Carriera della Festa del Cinema e ha presentato il suo ultimo lavoro, incontrando poi molti giovani in una sessione pomeridiana molto attesa

Festa del Cinema: Roma s’inchina a James Ivory, tra omaggi e masterclass

La Festa del Cinema di Roma di quest’anno ha in James Ivory forse l’ospite più illustre. Il regista novantaquattrenne, che qui è stato premiato nel corso della serata di apertura, è una vera icona vivente: personaggio cosmopolita, intellettuale ed esteta, tra amori celebri (nella sua autobiografia, “Solid Ivory” si parla di una storia con Bruce Chatwin) e film immortali come “Camera con vista” (1985), “Maurice” (1987) e “Quel che resta del giorno” (1993), è anche la persona più anziana di sempre ad aver ricevuto un Oscar (per la sceneggiatura di Chiamami col tuo nome, nel 2018).

Un uomo che ha girato trentadue film in sessantacinque anni trascorsi dietro la macchina da presa, non poteva arrivare a Roma a mani vuote. Ha infatti presentato durante la Festa un documentario co-diretto da Giles Gardner, dal titolo “A cooler climate”, nato assemblando immagini recenti a pellicole di girato che il regista aveva da parte dal 1960, anno in cui viaggiò tra India e Afghanistan.

L’opera spazia dall’infanzia in Oregon, vissuta in una famiglia benestante titolare della segheria che forniva il legname per i set alla MGM, alle meraviglie di Kabul, tracciando un vagabondaggio intellettuale che si conclude con l’incontro col produttore indiano Ismail Merchant, che divenne poi il compagno di vita e partner professionale di Ivory.

Per settantacinque minuti si respira una specie di proustiana malinconia per un paradiso che oggi non esiste più, quello di un Oriente in cui reinventarsi, lontano da casa, e trovare la propria strada.

La voce dell’anziano regista accompagna immagini di grande fascino, sgranate e in parte deteriorate ma proprio per questo ancora più poetiche e pittoriche. Le musiche di Alexandre Desplat fanno il resto nella costruzione di un’atmosfera amena.

Onestamente si scoprono molte più cose personali di Ivory attraverso quest’opera di quante ne siano emerse durante la masterclass che ha visto il grande filmaker protagonista ieri pomeriggio, un evento di punta della kermesse romana che ha lasciato inespresso il proprio potenziale, affossato purtroppo da domande mai incisive.

Se da un lato si è infatti ripercorsa la nascita della Merchant-Ivory, ovvero la più longeva compagnia di produzione cinematografica esistente, entrata addirittura nel Guinness dei Primati, dall’altro si è rimasti sempre in superficie, come se la presenza in sala di molti giovani determinasse la necessità di fare un riassunto dei premi vinti da Ivory atto a giustificarne la statura. Un enorme malinteso, visto che gli esponenti delle nuove generazioni erano lì seduti proprio perché perfettamente a conoscenza del suo genio cinematografico.

Riguardo al fatto di venir spesso indicato erroneamente come regista dai natali inglesi, Ivory ha sorriso e ripercorso come in realtà non solo sia sempre stato di casa in America ma addirittura il suo precoce interesse per l’Europa fosse relativo soltanto ad Italia e Francia. Ha raccontato che è arrivato all’Inghilterra solo perché instradato dalle conoscenze fatte in India, vale a dire frequentazioni di inglesi mai stati nella loro patria d’origine. Dopo il capitolo indiano e quello americano, si arriva alle produzioni in costume per cui è diventato celebre, quelle degli adattamenti letterari ma non sono emersi aneddoti particolari.

A brillare sono stati il brio e la lucidità di un uomo che è sembrato non fare differenze tra attori noti (da Paul Newman a Antony Hopkins) e giovani alla prima esperienza (come all'epoca Hungh Grant e Helena Bonham Carter), conscio di aver sempre lavorato con gente di talento cui venivano forniti ruoli di grande spessore e qualità.

Dispiaciuto ma non troppo di aver amato dirigere film che non sono stati pienamente apprezzati come “Jefferson in Paris” e “Surviving Picasso”, Ivory non sembra avere né rimorsi né rimpianti in termini di cinematografia.

Prima di congedarsi ha avuto modo di consigliare a chi si affaccia da artista al mondo del cinema di mantenere il proprio stile.

Ad andare avanti, secondo lui, sono coloro che non si piegano alla temporanea convenienza. Restare fedeli a se stessi alla fine paga, perché aver qualcosa in cui credere e attenervisi è il segreto per avere un futuro luminoso. Maestro di vita oltre che di cinema.

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