La Romagna di Rondoni. Quel piccolo pezzo di paradiso (e lussuria)

Il poeta di Forlì Davide Rondoni dedica un libro-inno alla sua terra, fra piadine doc e canzoni di Casadei

La Romagna di Rondoni. Quel piccolo pezzo di paradiso (e lussuria)

Questo libro è pane anzi piadina per i miei denti, siccome bazzico la Romagna da quando avevo diciassette anni e lavoravo in un bagno di Lido di Savio, comune di Ravenna. E siccome sono amantissimo della geografia, delle piccole patrie e dei confini. Davide Rondoni in Quasi un paradiso (Sem, pagg. 200, euro 16), che è un inno alla Romagna come non si leggeva dai tempi del Pascoli, una spericolata versione letteraria delle canzoni dei Casadei, una mitopoiesi più sfrenata di quella contenuta nelle lettere del Byron ravennate, proprio dai confini comincia. Prima meditando sull'incertezza dei medesimi: «Imola è Romagna? Rimini lo è?». Poi arrivando a concepire l'esistenza di una Piccola Romagna e di una Grande Romagna. La prima comprenderebbe «le terre di Cesena e quelle di Ravenna fino al mare, passando per Forlì e le sue colline e campagne. E qui batte indubitabilmente il cuore della Romagna. Nella seconda, la Grande Romagna, rientrano le estreme propaggini oltre Rimini, verso Gabicce e Gradara, fin su in Carpegna e dall'altro lato salendo da Faenza verso Marradi o giù per la piana imolese». Malignamente devo ricordare che Rondoni è nato a Forlì, pertanto col suo libro si autocolloca nel cuore del cuore romagnolo. Così schiaffando molti corregionali ai margini, in periferia, in un quasi purgatorio che di volta in volta è quasi Emilia o quasi Marche. Compreso, udite udite, «Fellini, che in realtà di romagnolo ha ben poco». Ma non bisogna stupirsi troppo: ovvio che la Romagna, non essendo un'entità politico-amministrativa bensì esclusivamente, squisitamente culturale, abbia tanti confini quanti sono i colti che se ne occupano.

Forse i veri confini romagnoli sono i confini della piadina e nel libro non poteva non mancare un elogio della famosa focaccetta, altro tema campanilistico perché la ricetta, pur semplicissima, differisce da zona a zona. Visto che Rondoni è dell'entroterra la piadina migliore, l'originale, non poteva non essere la piadina dell'entroterra, «quella un po' grossa e tamugna che, accompagnata da un tocco di formaggio, al massimo un po' d'erba commestibile trovata nei fossi e un mezzo di vino rosso robusto, doveva far muscolo e sangue al lavoratore dei campi o delle officine». Mentre la piadina sottile della costa è «un po' da turista». Per fortuna sul ripieno si raccoglie un consenso generale: «La pida cun e parsot la pis un po' m'a tot», la piada col prosciutto piace un po' a tutti. Rondoni definisce la Romagna patria del pensiero simpatico, io parlerei anche di pensiero edonistico. Nel libro ancor più della gola abbonda la lussuria. Viene descritta la figura del «figaiolo» e si analizzano le canzoni dei vari Casadei, tutte ben orientate. C'è la «bèla burdèla», la bella ragazza a cui, traducendo in italiano, ci si rivolge furbamente così: «Facciamo questo baratto / tu dammi uno schiaffo / ch'io ti do un bacio». E spicca la protagonista di Simpatia che potrebbe rendere felice qualsiasi uomo anche non romagnolo: «Io ti darei / tutto quello che vuoi / ma tu non chiedi mai / tu solo dai!». Viene da chiedersi: fra l'Adriatico e il Sìllaro esiste, è mai esistita, una meraviglia simile? Allignano ancora (Simpatia è del 1974) donne così oblative nella terra di Anna Falchi e Laura Pausini, Nicole Minetti e Martina Colombari? Sarebbero da inseguire fin sul passo del Muraglione... Speriamo non sia solo un vecchio ideale, soltanto il sogno di Raoul Casadei o di Rondoni stesso. Un fatto certo sono le pagine che mi hanno un poco ricordato sia Maledetti toscani di Malaparte sia Quel gran pezzo dell'Emilia di Berselli, altri campioni di patriottismo regionale, in un libro impreziosito dalla poesia, perché l'autore è poeta e spesso inserisce versi propri o altrui, e ancor più dalla teologia, perché l'autore è cattolico di quel cattolicesimo giussaniano che mi fece parlare, in tempi cattolicamente molto migliori degli attuali, di immoralismo ciellino. Rondoni si definisce di rito romagnolo, che a differenza del rito ambrosiano non vanta peculiarità liturgiche bensì come dicevo teologiche, «la sottolineatura energica di quanto già sviscerato da san Tommaso d'Aquino: il peccato di golosità o incontinenza, in ogni campo, entro una certa misura è meno dannoso di quelli di giudizio e di pensiero. Una luveria insomma è meno grave di una deviazione dottrinale o di un'eresia». «Luveria» in romagnolo significa ghiottoneria e forse qualcos'altro, ma, di qualunque cosa si tratti, nell'aldilà non conduce all'inferno e nell'aldiqua porta quasi in paradiso.

Con questo titolo felice il poeta di Forlì rafforza la sua immagine di Bardo di Romagna e si

candida ad assessore regionale al turismo: a metà libro hai già disdetto eventuali prenotazioni in Liguria o Sardegna, Versilia o Salento, patrie di pensieri simpatici un po' meno, e a pagina 142 sei già partito per Cervia.

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