È morto ieri all'età di 81 anni a Londra Peter O'Toole, l'attore nato in Irlanda ma cresciuto in Gran Bretagna che legò il suo nome soprattutto all'interpretazione di «Lawrence d'Arabia» di David Lean nel 1962. O'Toole fu candidato 8 volte all'Oscar e vinse la statuetta alla carriera nel 2003. Nel luglio del 2012 annunciò di voler abbandonare la recitazione.
Chi ha avuto la fortuna di vederlo recitare dal vivo nel 1959 sul palco del londinese Royal Court nel ruolo dello sboccato Bamforth nella pièce The Long and the Short and the Tall ha giurato di averne colto subito la grandezza. E infatti da lì a poco Peter O'Toole sarebbe diventato uno delle più famose star mondiali grazie al ruolo di Lawrence d'Arabia nel kolossal di David Lean del 1962. Fiammeggianti occhi azzurri, capelli biondo-ossigenati, lunghe vesti bianche (e la voce inconfondibile in Italia del «suo» doppiatore Sergio Graziani). Una figura così carismatica da entrare immediatamente nell'immaginario collettivo come è accaduto a pochi altri grandi interpreti. Oggi lo piangiamo. È morto sabato, ma la notizia è trapelata ieri sera, in un ospedale di Londra a 81 anni dopo una lunga malattia. Lui che la morte l'aveva già beffata negli ormai lontani anni '70 sopravvivendo a un tumore allo stomaco.
Ma la vita fa il suo gioco. Così magari, con il senno di poi, si sarà pure chiesto se il successo non fosse arrivato troppo presto. Perché dopo appena tre modesti ruoli in Il ragazzo rapito di Robert Stevenson (1960), Furto alla banca d'Inghilterra di John Guillermin (1960) e Ombre bianche di Nicholas Ray (1960) ecco arrivare la grande occasione di interpretare il militare britannico che ai primi del '900 finì per diventare uno dei protagonisti dell'insurrezione araba contro la dominazione ottomana. Quasi quattro ore di film, dieci nomination all'Oscar con sette premi poi ricevuti (ma non quello al migliore interprete, una mancanza che - come vedremo - perseguirà per sempre O'Toole), Lawrence d'Arabia diventa così croce e delizia dell'attore nato nel 1932 in Irlanda. Con l'interpretazione più impegnativa e di successo che non avrebbe però più fatto capolino in una carriera comunque sterminata costituita da oltre 90 interpretazioni.
Ma Peter O'Toole, che è nato a teatro nel prestigioso Old Vic di Londra (grande conoscitore di Shakespeare, sapeva a memoria tutti i suoi sonetti) dopo aver tentato di fare il giornalista e aver trascorso due anni nella Royal Navy, ha sempre puntato sulla qualità della sua performance attoriale. Come nei film successivi, sempre in costume, dove interpreta curiosamente lo stesso Enrico II d'Inghilterra, Becket e il suo re di Peter Glenville (1964) accanto a Richard Burton e Il leone d'inverno di Anthony Harvey (1968) con Katharine Hepburn. In mezzo e dopo le sue interpretazioni non riescono però a soddisfare le aspettative di chi lo vede ancora vagare nel deserto, eccolo in Lord Jim di Richard Brooks (1965), poi protagonista nel gradevole musical Goodbye Mr. Chips di Herbert Ross (1969), diventa un conte che crede di essere Gesù in La classe dirigente di Peter Medak (1972), mentre in Ospite d'onore di Richard Benjamin del 1982 interpreta un ruolo in tutto e per tutto simile a lui, quello di un divo del cinema famoso per i film di cappa e spada, incline all'alcol, che viene chiamato a lavorare in una serie tv. Due anni prima lo troviamo nei panni di un regista megalomane in Professione pericolo di Richard Rush appena pochi mesi dopo aveva partecipato alle riprese del delirante e scandaloso Caligola di Tinto Brass mentre nel 1987 mostrava ancora tutto il suo fascino ne L'ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci. Recentemente ha prestato la voce come critico gastronomico per il film d'animazione Ratatouille.
Ma nonostante il successo di tanti film e le otto candidature all'Oscar la statuetta però non l'ha mai vinta. Nel 2003 l'Academy decide di dargli il solito Oscar «riparatorio» alla carriera. O'Toole addirittura non vorrebbe ritirarlo perché crede di poterlo ancora ottenere «regolarmente» (ma nel 2006 candidato per Venus non lo vince). Poi le due figlie lo convincono ad andare a riceverlo dalle mani di Meryl Streep.
È il coronamento di una carriera che sembrava essersi conclusa l'anno scorso con la comunicazione del ritiro dalle scene. Ma solo un mese fa è arrivata la notizia che aveva interpretato il romano Gaio Cornelio Gallo in Katherine of Alexandria di Michael Redwood. Ancora un film in costume. Il suo destino, il suo modo di dire arrivederci.
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