Palcoscenici enormi, arredi scenici sempre più invadenti, in un tripudio di esaltazione dell'ego smisurato di chi si presenta al pubblico come un araldo di un dio oscuro. La figura dell'artista che entra in scena da semidio ha radici antiche e l'enfatizzazione un po' caricaturale che l'avvento del rock le ha dato non è stata di per sé una rivoluzione. In fondo, ogni epoca ha i suoi mistici e, da Buddy Holly in poi, l'elenco dei ministri del culto rock è lunghissimo e quasi sempre si sovrappone a quello dei suoi martiri, in larga parte autoimmolatisi sull'altare del successo.
Da quando Elvis ha aperto la via e da quando i Beatles ne hanno fatto una corsia preferenziale per i percorsi spericolati di intere generazioni di giovani, la musica si è trasformata in qualcosa di molto più serio, talvolta addirittura troppo serio, finendo per assumere i contorni di una religione, con i suoi cerimoniali, le sue promesse di vita eterna e persino i suoi cilici. E, si sa, molti riti hanno pure le loro baccanti. Groupie Ragazze a perdere (Odoya, pagg 320, euro 22) di Barbara Tomasino, è una sorta di guida al mondo controverso delle groupie, moderne baccanti, appunto, alla corte della rockstar di turno che, talvolta, con la loro personalità debordante, la loro genialità e, perché no, la loro dose di follia hanno oscurato i loro stessi idoli.
Ma che cos'è una groupie? Nella prefazione al suo libro, Tomasino ce ne fornisce persino la definizione ufficiale che si trova su un banalissimo vocabolario di inglese: «ragazza che segue i gruppi nei concerti del tour». Ovviamente, in questa definizione manca quasi del tutto il senso autentico della parola. Groupie, infatti, è un termine ancor oggi associato a trasgressioni sessuali, a una libertà di costumi impensabile prima della fine degli anni '60, frutto dei movimenti libertari del periodo tanto quanto della disinvoltura con cui le prime band di riferimento, dai Rolling Stones ai Led Zeppelin, mettevano in piazza la loro voglia di spassarsela. Il libro di Barbara Tomasino è un lucido excursus nella storia delle groupie e, di conseguenza, pure del rock stesso del cui ambiente queste ragazze sfrenate hanno fatto parte integrante, talvolta ispirando brani di portata leggendaria
Il luogo classico di questi baccanali era l'albergo dopo il concerto, ma il mansionario delle groupie potrebbe persino essersi imborghesito nel tempo se, come sembra, l'attempato Bob Dylan tuttora ha una dozzina di fidanzate sparse per il mondo, una per ogni città in cui possieda un pied-à-terre. C'è pure tanta storia in Groupie, con una sapiente ricostruzione dell'atmosfera regnante nelle grandi città del rock.
La figura della groupie solitamente fa pensare a festini sfrenati dove alcol e altri additivi la fanno da padroni e dove il letto è terreno di battaglie. Mi viene in mente il capitolo quasi grottesco dedicato alle «Plastercaster», un ensemble di groupie che aveva il vezzo di prendere i calchi dei peni delle rockstar con cui facevano sesso e che ne tenne persino una mostra. Ma ci sono parecchi capitoli meno lievi, come quello dedicato alla tormentata figura di Paula Yates, musa prima di Bob Geldof e poi di Michael Hutchence degli INXS, che morì malamente poco dopo la terribile fine del cantante australiano.
Ci sono pure tanti nomi che negli annali del rock hanno quasi la stessa portata di quelli delle rockstar di riferimento Bebe Buell, Pamela Des Barres, Cherry Vanilla, Anita Pallenberg, per citarne alcuni e che spesso hanno scritto memoir interessanti.
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