"Siamo gli Scorpions e restiamo giovani perché suoniamo rock"

Dopo sette anni un disco della band che cantò per prima la Perestroika con "Wind of change"

"Siamo gli Scorpions e restiamo giovani perché suoniamo rock"

Dicono che il rock sia roba da vecchi.

«Ma figurarsi».

Sapete, il rap, la trap, l'urban.

«La musica giustamente si rinnova e ci sono nuove tendenze che pure noi seguiamo con attenzione. Ma non vuol dire che ciò che c'era prima sia un reperto del passato. Se abbiamo pronto un tour mondiale, vuol dire che c'è ancora una enorme quantità di persone, anche giovanissime, che lo seguono».

I Maneskin lo confermano.

«Bella energia la loro. Ricorda quella che avevamo noi agli inizi».

Gli Scorpions hanno venduto oltre cento milioni di dischi e adesso pubblicano il diciannovesimo 50 anni esatti dopo aver pubblicato il primo. Si intitola Rock believer, è potente come si deve ed è incardinato sulla voce inconfondibile di Klaus Meine e sulle chitarre di Rudolf Schenker e Mathias Jabs. Sono rumorosi, gli Scorpions, talvolta davvero teutonici e marziali nel ritmo, ma hanno un senso della melodia che li ha trasformati in maestri della ballata rock grazie a pezzi come Send me an angel, Still loving you, Holiday e soprattutto Wind of change, che è una delle canzoni più famose di sempre grazie al fischio iniziale e a un testo che ha raccontato la Caduta del Muro e la perestroika prima che i mattoni e l'Urss si sbriciolassero davvero: «Durante i nostri concerti a Mosca si sentiva una nuova energia nei giovani sovietici, volevano essere parte del resto del mondo, e a questo mi sono ispirato per comporre nel settembre del 1989», ha detto Klaus Meine che di pubblico se ne intende vista la carriera. Tanto per capirci, nel 1985 gli Scorpions hanno suonato a Rock in Rio con Queen, Rod Stewart, Iron Maiden, George Benson, Yes, Ac/Dc e altri per un totale di quasi un milione e mezzo di spettatori. «Sono quegli show che ti danno la percezione che il rock non può invecchiare perché rappresenta una passione che si rinnova e che sa capire il presente», conferma il cantante che è piccolo, minuto ma scatenato quando si accende il microfono. Come ha dimostrato scrivendo Wind of change: «Il rock è un decisivo termometro sociale».

Rudolf Schenker e Klaus Meine, tornate con un disco dopo 7 anni. Quando avete deciso che fosse il momento giusto?

Klaus Meine «Durante la pandemia. In tutta la nostra carriera non eravamo mai rimasti fermi così a lungo tra un tour e l'altro. Interminabile. Così ci è venuta una voglia incredibile di suonare e comporre qualcosa di nuovo».

Mai come in questo periodo si pubblicano canzoni nuove.

Rudolf Schenker «Oggi tantissimi giovani vogliono fare una canzone, registrarla, avere successo senza aspettare troppo a lungo. Ma noi sentiamo il bisogno di fare anche il passo successivo: comporla, scrivere il testo ma poi suonare tutto dal vivo. Noi abbiamo sempre voluto suonare ovunque e ci siamo esaltati quando abbiamo suonato per la prima volta negli States con i Van Halen. Suonare dove sia possibile è l'idea stessa di band».

Oggi le band sono quasi in via di estinzione.

Meine «Noi siamo insieme da oltre mezzo secolo ed è una dimensione che regala moltissimo non soltanto dal punto di vista musicale ma pure umano. Suonare insieme è una scuola di vita».

Durante la pandemia tanti hanno suonato in streaming per il pubblico online.

Schenker «È stato un momento nel quale non si poteva fare altro e anche noi possiamo suonare bene in salotto. Ma il palco dal vivo è indispensabile».

Tra poco iniziate l'ennesimo tour mondiale, con tanto di residency a Las Vegas per venti giorni dal 26 marzo.

Meine «Passeremo anche in Italia, ovvio. Il 23 maggio all'Arena di Verona, dove abbiamo già suonato ed è qualcosa di favoloso.

Avete un repertorio sterminato.

«Mezzo secolo di canzoni».

Quando avete iniziato?

Schenker «Quando mio papà mi regalò una chitarra Hofner e io iniziai a suonare le novità di quel periodo, ossia i Beatles e i Rolling Stones. Per me fu un segnale decisivo: ehi mi piaceva, mi divertivo, mi sentivo fortissimo».

Avrebbe potuto essere una passione fugace come spesso capita.

«Poi ho imparato tutto il repertorio di Chuck Berry, di Little Richard, di ogni grande padre fondatore del rock'n'roll. E ho capito che la musica sarebbe stata la guida del mio destino».

Come definireste gli Scorpions?

Meine «Una band che corre su due binari. Uno è quello di Wind of change e di canzoni melodiche ma potenti. E l'altro è quello di brani come Rock you like a hurricane che sono scatenati e trascinano il pubblico ogni volta che li suoniamo».

E quale sarà la vostra attitudine quando tornerete sul palco?

Meine «Penseremo a quelli che ci dicono: Sì, siete stati famosi ma è solo roba del passato. Temo si sbaglino».

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