A giugno compirà 72 anni; ha usato l'arte (anche) per superare gravi periodi di sofferenza personale e non ha intenzione di fermarsi... Chitarra a tracolla e sigaro tra le dita, Roberto Vecchioni è sempre impegnato in molteplici progetti che lo spingono ad andare oltre se stesso; cantautore, scrittore, professore di liceo, docente universitario e persino attore nel film di Sergio Castellitto Nessuno si salva da solo. Ma sono musica e letteratura, e il legame profondo tra loro, le cose che più lo intrigano, e che lo portano, questa sera nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano, in un concerto speciale insieme all'Orchestra Giovanile Luigi Cherubini voluta e fondata da Riccardo Muti.
Lei è sempre in movimento, alla ricerca di nuove sfide...
«Qualche volta ho l'impressione di esagerare, di fare troppe cose. Mi viene la tentazione di ritirarmi in una fazenda e star lì a guardare le stelle, ma non riesco a fermarmi. Ho la sindrome di Ulisse, ogni volta che arrivo da qualche parte devo subito ripartire».
Quindi è ripartito verso la musica classica.
«Sono ripartito dal rapporto tra suono e letteratura. Ultimamente ho vissuto un periodo professionale molto soddisfacente; l'album Io non appartengo più è diventato disco d'oro e il libro Il mercante di luce è stato un'esperienza toccante. Proprio da questo sono partito per organizzare questo concerto che ritengo un evento speciale».
In che senso?
«Il libro è un omaggio alla cultura, all'Umanesimo attraverso il rapporto tra il figlio malato e il padre, esimio professore di letteratura greca, che vuole insegnargli la vera essenza del bello. In questo concerto cerco di raccontare il mondo del bello, partendo da alcuni dei miei personaggi che nascono dalla letteratura e dalla cultura. Ci saranno anche alcuni inserti dove reciterò alcuni versi di Saffo e di vari poeti».
Che rapporto ha con la musica classica?
«Un rapporto profondo. Ho una grande collezione di dischi, anche in lp, e amo soprattutto la Sinfonica, dall'antica al Rinascimento, dal Barocco al Romanticismo. Le mie passioni cominciano con il Seicento di Monteverdi. Nel 2009 con il maestro Beppe D'Onghia incisi InCantus, in cui mettevo testi alle musiche di Cajkovskji, Rachmaninoff, Puccini oltre che rileggere i miei pezzi in veste classica».
Quindi ha riarrangiato i suoi brani?
«Sul palco c'è la mia band ma soprattutto l'Orchestra Cherubini, un magnifico ensemble che fornirà l'adeguato tappeto sonoro alle mie canzoni. Sarà un concerto con una quindicina di brani, per dare respiro allo spettacolo e al tempo stesso renderlo più intenso».
Lei che tiene il corso «Testi letterari in musica» all'Università di Pavia, cosa pensa dell'idea del ministro Franceschini di inserire i brani dei cantautori nelle antologie scolastiche come poesie?
«Dio volesse una cosa del genere, è ciò che io cerco di divulgare, nel mio piccolo, con i miei corsi».
Però De Gregori ha risposto al ministro che il testo, senza musica, non è poesia anzi, tutto il contrario.
«Chi ha mai detto che bisogna leggere solo le parole? Le canzoni vanno ascoltate. La canzone è un mezzo spurio, se leggi il testo o suoni soltanto la melodia è dimezzata e suscita solo il ricordo. È come un marito che parla della moglie ma lei non c'è. L'unico cantautore che si può leggere senza musica è De André, perché è un vero poeta».
Come sono i cantautori di oggi?
«Bravissimi ma diversissimi da noi. Noi avevamo una visione pittorica della canzone, abbiamo avuto il coraggio di raccontare quello che c'era nei nostro occhi senza pensare ai gusti del pubblico. Altrimenti non sarebbero nati pezzi come Canzone della bambina portoghese di Guccini o La casa del serpente di Fossati. Oggi il linguaggio dei cantautori è più immediato, arriva in tempo reale. Mi piace Tiziano Ferro, anche se a volte non lo capisco, e soprattutto Giuliano Sangiorgi».
Cosa pensa della vecchiaia?
«La vedo come un binario che corre parallelo a me, la vivo un po' come Einstein viveva la teoria della relatività e così sento che la vita non mi scorre via».
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