Parla veloce come un missile e non sbaglia un congiuntivo, cosa che lo consacra come ventiquattrenne atipico. Già il suo nome cognome è un rap (Emiliano Rudolf Giambelli) e il nome d'arte è una dichiarazione di intenti: Emis Killa, professione rapper ormai consolidato, lombardo di Vimercate ma appena esportato al Bet Hip Hop Awards, una sorta di accademia del rap dove è nato il rap: negli Stati Uniti. «Ma anche se sono andato lì di fianco a mostri sacri come Kendrick Lamar, qui in Italia i soliti rosiconi stanno a criticare». Difficile lo possano fare anche dopo aver ascoltato il secondo disco «ufficiale» dopo anni di mixtape e free style: Mercurio non fa prigionieri perché corre in equilibrio su rime forti, accoglie ospiti inusuali (ad esempio Skin) e paga qualcosa solo al banco dell'(eccesso di) entusiasmo. Dopotutto l'album L'erbacattiva del 2012 è stato in classifica un anno di fila perciò capirete le aspettative. Soddisfatte. Mercurio è un disco più maturo, insomma. Lo aspettano i 700mila amici su Facebook e i 264mila followers che mitragliano Emis Killa su Twitter. «Ma soprattutto lo aspettavo io», spiega lui, che ha un sorriso panoramico da qui a lì.
Prima, caro Emis Killa, era meno sereno?
«Questo disco è nato con un'ansia pazzesca. Io sono molto autocritico, avevo paura che non fosse più forte come il primo e che mi condannasse all'anonimato».
Emis Killa ha iniziato a 14 anni con il free style, ossia rime in libertà, una costola dell'hip hop.
«Mica pensavo di aver successo. Nel 2005 manco era famoso Fabri Fibra qui in Italia».
Perciò doveva mantenersi.
«Muratore. Due anni. Ma è stata la musica a salvarmi dalla disperazione cui il mio carattere mi condannava».
È per questo che in Mercurio c'è il testo di «Scordarmi chi ero»?
«No, quello si riferisce al benessere della vita a due. Quando si sta bene, è facile scordarsi come si stava prima da soli».
Comunque lei niente scuole superiori.
«Al primo anno ero talmente rompiballe che uno dei professori mi ha detto di non frequentare più. Gli ho risposto: per me è ok, ma il primo anno di superiori è obbligatorio».
E il prof?
«"Stai a casa e non preoccuparti"».
Bell'esempio...
«E me l'ha pure detto a muso duro».
Il testo del brano «Fratelli a metà» ricorda un po' «Mio fratello è figlio unico».
«Vero, non ci avevo mai pensato. Ho messo in rima la storia mia e del mio fratellastro, che è l'altro figlio di mio padre. Ha otto anni più di me e, anche se vivevamo a poca distanza, non avevamo niente in comune. Ma poi è la vita ad avvicinarti. Lui ha iniziato a passarmi a prendere a casa con la moto e da lì abbiamo iniziato a diventare realmente fratelli. Poi nel 2010 è morto nostro padre e questo ci ha unito di più ancora».
Un rapper crede in Dio?
«Io lo faccio a modo mio. Come uomo non riesco a concepire l'infinito. Deve per forza essere sovrumano».
Lei dice così poi dedica una canzone a Balotelli. («Mb45»).
«L'ho scritta prima di conoscerlo. Poi l'ho conosciuto e siamo diventati amici».
Addirittura?
«Ogni tanto usciamo pure insieme».
Chissà che fracasso voi due insieme?
«Ma va, quasi quasi ognuno di noi vede nell'altro il proprio mostro e quindi ci teniamo a bada a vicenda. Con la vita che facciamo, piena di impegni, ci manca ancora che combiniamo qualche casino».
I rapper sono i nuovi cantautori (De Gregori dixit). Ma una volta i cantautori non uscivano con i goleador.
«Intanto
bisogna conservare il senso della misura: il paragone con grandi poeti non è giusto e mi imbarazza. Però il rap è una lingua universale, un traduttore della realtà. E nel mondo lo hanno capito dappertutto tranne che in Italia».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.