Fino a che punto è lecito spingersi, quando in gioco è la sopravvivenza? Fin dove si può rispettare un ordine morale, quando superarlo significa salvare sé stessi? Ha la forma del mistery spettacolare (con venature gialle e thriller), ma in fondo è soprattutto un racconto metaforico, Sopravvissuti: la serie che da lunedì 3 su Raiuno, seguendo la tragica odissea di dodici naufraghi dispersi per un anno in alto mare, racconta anche «il loro viaggio interiore come sottolinea il regista, Carmine Elia -. Cioè il modo in cui questa esperienza estrema li trasformerà, rivelandoli diversi perfino a sé stessi».
Nel soggetto ideato da quattro allievi del master di Scrittura Seriale di Rai Fiction (e coprodotto tra Rai, France Televisions e la tedesca ZDF) il protagonista Lino Guanciale guida dodici passeggeri sulla barca Arianna per una breve crociera. «Dopo pochi giorni di navigazione, però, la nave scompare dai radar racconta l'attore -. Verrà ritrovata solo un anno dopo: a bordo soltanto sei sopravvissuti, stremati dalla terribile prova». La gioia del momento è presto appannata dai primi, sempre più inquietanti interrogativi.
Cos'è successo su quella barca? Come sono riusciti a sopravvivere i naufraghi? Come potranno reinserirsi in una vita normale? «Quello che si fa più domande è il mio personaggio: una poliziotta che nella sciagura ha perso il figlio spiega l'interprete Pia Lanciotti -. Lei non si accontenta della verità ufficiale. Cercherà quella che sente gridare dal suo sangue».
Esplicitamente ispirato a serie come Lost e Homeland, di analoghe ambientazioni estreme, Sopravvissuti «è un racconto spettacolare, strutturato per coinvolgere lo spettatore con la ricostruzione in studio dell'intera imbarcazione, lunga ventisette metri, che vediamo solcare le onde», considera Guanciale. «Quando ho visto l'Arianna rifatta in studio, e ricevuto l'assicurazione che l'80 per cento delle riprese sarebbe stato effettuato sulla terra ferma, io che soffro di mal di mare ho tirato un sospiro di sollievo - sorride un'altra interprete, Barbora Bobulova -. Veniva da pensare Stiamo girando Titanic!. «Ma Sopravvissuti è anche una riflessione sulla speranza considera il protagonista -. Su cosa significhi averla, su quanto costi nutrirla». «Il naufragio farà infatti da detonatore al dramma, fino a quel momento rimasto sottotraccia, di alcuni dei passeggeri - aggiunge il regista - oppure spingerà altri a guardarsi dentro, e a scoprirsi molto diversi da quanto immaginato». Per un cambiamento positivo? «Questo sarà il pubblico a scoprirlo risponde Elia -. La nostra è soprattutto la storia di un imponderabile che può cambiare all'improvviso, e in direzioni totalmente imprevedibili, la vita di chiunque.
Il naufragio diventa allora un percorso allegorico. Proprio quando crediamo che le nostre esistenze abbiano trovato un assetto stabile e rassicurante, la vita ci mette davanti alla vastità ridicola di questo errore, con tutta la violenza di cui è capace».
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