"Stand Up Comedy? Da noi è cabaret con meno buonismo"

Saverio Raimondo spopola su Comedy Central e Netflix: «L'America cambia la nostra comicità»

"Stand Up Comedy? Da noi è cabaret con meno buonismo"

Non esiste una parola italiana per spiegarla ma, a quanto pare, anche gli italiani sono bravi a farla. È la stand up comedy, arte della comicità da sostenere a schiena diritta davanti al pubblico, in piedi, al massimo appoggiati a uno sgabello, armati di voce e di una sana cattiveria. Verso se stessi, prima ancora che verso le ipocrisie del mondo: perché il comico si mette a nudo e partendo da sé passa poi a rifilare scomode scudisciate a tutti. Dici stand up comedy e pensi al genere di Bob Hope, Woody Allen, Robin Williams, oggi di star come Bill Hicks e Ellen DeGeneres. Esistono omologhi italiani? Pare di sì. Tecnicamente, per citare un nome celebre, Teresa Mannino è un'abilissima stand up comedian. In queste settimane Netflix propone tre comici per tre special: Edoardo Ferrario in Temi caldi, Francesco De Carlo in Cose di questo mondo e, ultima proposta di maggio, Saverio Raimondo ne Il Satiro Parlante. Ognuno ha il suo tema: Ferrario fa delle ossessioni moderne (privacy on line, oroscopi, birre artigianali) il suo filo rosso, De Carlo racconta gli imprevisti dell'adattamento in viaggio (ad altre culture, abitudini alimentari e lingue, ad esempio l'Inghilterra, terra di Brexit e di menu inquietanti), Raimondo sfoggia tutta la sua vis comica a colpi di politicamente scorretto, autoanalisi feroce e altrettanto feroce satira politica e sociale, passando dall'uso degli smart phone a teatro al terrorismo. Quest'ultimo, attore romano classe 1984, a soli 18 anni già autore per Serena Dandini, è di questi tempi protagonista anche sul canale Comedy Central (Sky 228) ogni venerdì alle ore 23 con la quinta stagione di CCN Comedy Central News, divertente late night show con ospiti. Sì perché, va detto, Comedy Central con i suoi programmi (sei stagioni di Stand Up Comedy) e il suo scouting di nuovi talenti dal 2013 nella formula stand up in chiave italica ci ha sempre creduto. Che poi, a ben vedere, gli storici della risata quella roba lì la chiamano col vecchio nome di cabaret, e nel termine stand up comedy vedono una furbastra declinazione «auanagana» di ciò che c'è sempre stato. Lo sostiene da tempo il comico Flavio Oreglio, che nella sua Peschiera Borromeo ha addirittura allestito un museo l'Archivio Storico del Cabaret dove la storia parte dal mitico locale parigino Le Chat Noir, fondato nel 1881 da Rodolphe Salis e popolato da pazzi come i poeti «idropatici» per arrivare a quello che, parole sue, «è il vero cabaret italiano, quello milanese di Gaber, Svampa e Walter Chiari. Perché ciò che si vede in tv da vent'anni coi programmi infarciti di varietà, semplicemente, non è cabaret. E gli stand up comedians, che vi si scagliano contro dicendo di essere diversi, hanno ragione. Ma sbagliano a chiamare il loro avversario cabaret».

Insomma, un gran casino tra puristi della risata. E in fondo questa è la stessa opinione di Saverio Raimondo: «Oggi dobbiamo dire stand up comedy spiega il comico perché da troppi anni il cabaret è diventato lo standard televisivo. E poi va aggiunto che l'America ha cambiato tutto: la possibilità, grazie al web, di accedere ai comedians Usa ci ha fatto conoscere una comicità anglosassone caustica, fatta da grandi showmen come David Letterman e Stephen Colbert. La comicità italiana è per tradizione fatta di maschere, è roba diversa». Umorismo più dark e cattivo, quello americano, che Saverio Raimondo nel suo show Netflix sa declinare in forma personale (una battuta sul Bataclan, il locale parigino dell'attentato Isis del 2015, è roba da gesso rotto sulla lavagna): «Noi italiani siamo meno portati a ridere di queste cose? Per la nostra storia sì, ma si può iniziare a cambiare. Il muro del buonismo lo si può rompere: in fondo, ci siamo messi anche a mangiare sushi e ravioli al vapore».

Insomma, lo stand up made in Italy ci sta, anche perché il nostro paese, dopotutto, resta un copione perfetto: «Da noi il politicamente scorretto lo si permette ai politici ma non ai comici punge Saverio Raimondo Ma il ruolo del comico è proprio quello di provocare. Noi italiani accettiamo i cattivi veri, quando invece la cattiveria finta dei comici può sabotare quella vera».

C'è solo un nemico mortale per i comici: «Prendersi sul serio conclude Raimondo - Se un comico fonda un partito o si mette a leggere Dante in tv, bé, è finita». In verità ci sarebbe un altro nemico: copiare le battute degli altri. Daniele Luttazzi lo fece (venne fuori che il 30% delle sue battute era «prelevato» dai comedians d'oltreoceano) e non ne uscì bene.

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