«Ho voluto molto bene a Pasolini. Dicevamo quasi le stesse cose, io più sommessamente quando non c'è lui mi accorgo di parlare più forte». In questa frase c'è molto della comunanza intellettuale, inattesa eppure evidente, che unì Leonardo Sciascia al polemista degli Scritti corsari. E non è un caso che la frase sia diventata una battuta de La notte delle lucciole: lo spettacolo, scritto da Roberto Andò e diretto da Alfio Scuderi, con cui sabato 31 le Orestiadi di Gibellina celebreranno il centenario della nascita del grande scrittore siciliano. Integralmente affidato all'interpretazione del palermitano Claudio Gioè.
Sciascia e Pasolini: binomio insolito. Ma stimolante. I due s'incontrarono davvero?
«Una volta sola, pare: di sfuggita e in modo comunque insoddisfacente. Almeno per Sciascia. Il quale trovò il poeta quasi freddo. Ne ebbe la sgradevole impressione che Pasolini temesse di non essere pienamente apprezzato da lui; addirittura che lui lo malgiudicasse per la sua omosessualità. Ma fu un equivoco: i due, apparentemente così diversi, avevano in realtà molte cose in comune. Come il nostro spettacolo dimostra».
Perché La notte delle lucciole?
«Perché passeggiando una sera lungo una strada di campagna, Sciascia rivede all'improvviso, dopo quarant'anni, una lucciola. Quell'apparizione lo riempie di una gioia immensa. Rammenta i tantissimi canileddi di picùraru, le candeline di pecoraio, che scintillavano nelle notti della sua infanzia. E fatalmente ripensa a Pasolini: il quale negli Scritti corsari parla proprio delle lucciole, scomparse a causa dell'inquinamento e dell'industrializzazione, come metafora di un innocente mondo contadino inghiottito dal buio del potere e della corruzione».
Cosa accomuna allora questi due intellettuali, in fondo culturalmente e geograficamente diversi?
«L'amore per il pensiero libero. Sciascia non si piegò mai a nessuna forma di potere; e in questo poteva davvero sentirsi fratello di Pasolini. E neppure lui temeva di sporcarsi le mani prendendo posizione in prima persona, intervenendo coi suoi editoriali polemici, difendendo posizioni sgradevoli e sgradite ai più».
E lei, da siciliano, cosa ammira di più nella sicilianità di Sciacia?
«La sua scelta di restare pervicacemente nella propria isola. Quel suo vivere a Recalmuto, coi fiori di gelsomino sulla scrivania e quel panorama davanti agli occhi, sempre intento a cercare di capire le contraddizioni della propria terra. Scelta coraggiosa, che lo rafforzò molto, proprio come siciliano: nei molti pregi del siciliano medio e nei pochissimi difetti (suoi). Ma anche nello sforzo di superare proprio i luoghi comuni della sicilianità - la coppola e la lupara - per aprire la nostra cultura ad un respiro più universale.
Scritto nel 2008 in forma drammaturgica da Roberto Andò, oggi nella rielaborazione di Scuderi «La notte delle lucciole» assume le caratteristiche del «teatro di narrazione».
«Sì: in scena ci sarò solo io, che leggerò il testo accompagnato da musiche originali eseguite dal vivo da Ermanno Dodaro e Raffaele Pullara. Una forma di teatro meno ruffiana, se vogliamo, concentrata unicamente sulla forza delle parole. Ma parole di Sciascia, appunto: dunque certo capaci di coinvolgere intensamente il pubblico. E di sbalzare un ritratto intimo, più privato, più politico del grande scrittore».
A differenza del suo grande conterraneo, lei ha abbandonato presto la Sicilia. Per poi tornarvi come il protagonista della sua ultima fiction, Màkari - dopo quasi trent'anni
«Sì: 27 anni passati a Roma e poi, all'improvviso, il desiderio di rivedere casa. Una lontananza che forse proprio come accade a Saverio Lamanna, il giornalista detective scritto da Gaetano Savatteri, siciliano anche lui - mi ha permesso di guardare con più chiarezza al nostro modo di essere. Dopo il successo della prima, a settembre inizieremo a girare la seconda serie di Màkari: per tre mesi fra le province di Trapani e Agrigento, sempre con la regia di Michele Soavi, tre episodi che andranno su Raiuno nel 2022».
Potenza delle coincidenze: attraverso le proprie indagini anche Saverio Lamanna cerca di capire meglio la natura dei siciliani e,
assieme essa, quella degli uomini.«Ne vuole sapere un'altra? Quando sono tornato a Palermo mi sono accorto che dalle finestre della mia casa si vedono le finestre dello studio di Sciascia. Potenza delle coincidenze!».
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