Vacanza da brividi, quella di monsieur Hercule Poirot e non certo perché reduce da Sanremo ma da un'inquietante crociera sul Nilo. L'amore, si sa, tira brutti scherzi ma la forma triangolare del cuore del protagonista Simon Doyle - interpretato da Armie Hammer, al centro di accuse di stupro e violenza sessuale - è un capolavoro di ambigua perfidia fedifraga. Sposa la bella ereditiera Linnet ma non dimentica la fidanzata storica, con la quale inscena litigi per mascherare un legame tutt'altro che tramontato. Lo stesso fa la signorina, in un crescendo di ipocrisie da far invidia perfino nelle nobili stanze di Montecitorio. Fatto sta che Poirot si trova tra i piedi tre cadaveri apparentemente senza spiegazione e tentativi di omicidio falliti perché l'amore, quello con la minuscola, non riguarda solo lui, lei e l'altra ma si spinge al confine con l'odio e coinvolge anche i restanti figuri. Tra questi non può mancare nemmeno una coppia omosessuale femminile, imposta dal politically super correct di questi tempi, della quale non c'è traccia nella prima trasposizione del romanzo di Agatha Christie, datata 1978, per mano di John Guillermin - lo stesso di King Kong - con un cast superstellare che comprendeva David Niven, Bette Davis, Peter Ustinov, Mia Farrow, la signora in giallo Angela Lansbury e la Madonna zeffirelliana Olivia Hussey. Insomma siamo lontani mille miglia da questo remake firmato da Kenneth Branagh che obbedisce ai canoni imposti dai codici trimillenari di par condicio tra bianchi e neri, omosex ed etero e perfino nel numero dei morti tra i due sessi.
Benvenuti negli anni Venti del Duemila con un giallo frivolo, che parte proprio gettando un ponte verso un secolo prima e spiegando al pubblico perché Poirot è un uomo solo che ha lasciato in soffitta l'amore, pur conoscendone i suoi segreti, grazie ai quali smaschererà i colpevoli. Che dire... non sarà un capolavoro ma è sempre un giallo piacevole, capace di mescolare molto bene le carte e rendere difficile immedesimarsi in Branagh-Poirot dalla poltrona.
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