Rusconi, Mondadori, Telecom, Cairo. Di nuovo Mondadori come direttore generale quindi amministratore delegato fino al 2021. Al timone di aziende per cinquant'anni, da 18 mesi Ernesto Mauri è presidente del Teatro Manzoni di Milano, istituzione che l'11 ottobre - domani - festeggia i 150 anni di attività, di cui gli ultimi 44 nella galassia del Gruppo Fininvest. Per l'occasione è stato organizzato un concerto con l'Orchestra Verdi, diretta da Giuseppe Grazioli, impegnata in un programma di classici, lirica, jazz e colonne sonore di Ennio Morricone.
Mauri, com'è quest'esperienza rispetto alle precedenti?
«Coinvolgente. Mi ha fatto ritrovare nuove energie. Il teatro è un genere d'intrattenimento che ha più di duemila anni ma continua a esercitare un grande fascino, è intrigante riscoprirlo giorno dopo giorno».
Decliniamo questo su Milano.
«Come nell'immediato secondo dopoguerra quando in una città ferita il teatro incarnò lo spirito di ricostruzione, anche in questa fase di crisi la gente vuole andare a teatro, ha bisogno di qualcosa che infonda ottimismo, infatti a fare il pieno è la prosa leggera, quella di qualità, mai banale».
Quindi spettatore al centro e proposte in linea con i tempi.
«Abbiamo inserito la rassegna Ridere alla grande con attori capaci di una comicità serena e allegra. C'è il cabaret, la prosa leggera, i grandi classici, serate extra come quelle con Vittorio Sgarbi, quindi proposte per bimbi e famiglie: in questo siamo stati pionieri».
Mondadori macinava utili, coi teatri già il pareggio è un miraggio. Quanto è difficile far quadrare i conti?
«Si bada ai costi, la gestione è oculata dunque la perdita è contenuta e comunque coperta da Fininvest. Non abbiamo contributi pubblici perché siamo un teatro di ospitalità».
Gestione all'americana dunque. Quali i risvolti?
«Non dobbiamo soddisfare alcuna indicazione di questa o quella parte. Abbiamo la libertà di proporre spettacoli che attraggano il pubblico nel rispetto di una linea editoriale nel dna del Manzoni. Il direttore generale Alessandro Arnone ha sposato questa filosofia e ne garantisce l'attuazione».
Un suo punto di vista sull'attività teatrale di Milano.
«Milano ha conosciuto slanci e ombre. In questo momento è in ascesa, aumentano e si diversificano le offerte culturali, dal Lirico agli Arcimboldi, quindi il Piccolo che da teatro d'Europa può permettersi rappresentazioni come M. Il figlio del secolo con 18 attori tutti di alto profilo».
Ha visto M. Il figlio del secolo?
«Sì, e mi è piaciuto molto».
Qual è il ruolo del Manzoni, oggi, a Milano?
«Continua ad esserne il salotto. Tale perché al massimo accoglie 840 persone, e perché è bello con i suoi elementi architettonici anni '50: così erano e così sono, si va dai lampadari alle sculture, marmi, velluti rossi, cariatidi a ornamento degli interni. Non è fané, è bello e a maggior ragione dopo gli interventi dell'architetto De Lucchi. In breve: rispecchia lo spirito di rilancio di Milano. Per questo vogliamo rendere il teatro ancora più alla moda integrandolo nel circuito degli eventi chiave della città».
Il caso dell'ultimo Fuori Salone quando le Gallerie di via Manzoni, dunque il Teatro, ospitarono la mostra per i cent'anni di Alessi con un'infilata di istallazioni di De Lucchi...
« più la cena d'apertura del Salone con 140 persone placée, in Galleria. Questo è solo l'inizio, stiamo organizzando altri eventi».
Di che tipo?
«Per esempio mostre fotografiche, penso a quella sull'iconica produzione di Franco Zeffirelli, Maria Stuarda, con Valentina Cortese e Rossella Falk. Dall'asta organizzata da Il Ponte abbiamo acquisito quattro abiti di Valentina Cortese che esporremo assieme a foto e oggetti dell'attrice. Ospiteremo i festeggiamenti per l'anniversario di un importante magazine. I negozi vuoti della Galleria possono diventare luoghi di cultura. La gente ha fame di queste cose, se le proponi, viene e le consuma».
L'Italia ha un patrimonio culturale da 219 miliardi. Che profilo dovrebbe avere un Ministro della Cultura? E se provenisse dal mondo dell'economia?
«Un economista no, semmai deve avere chiare competenze in materia di cultura. E poi tanto coraggio».
Coraggio di?
«Di fare proposte, di opporsi al taglio dei fondi alla cultura che, tutt'uno con l'istruzione, è indice di salute di un Paese, se un cittadino si informa, legge, vede, è un cittadino consapevole. Il ministro deve trovare le soluzioni per spingere la gente a consumare cultura, per questo mi è piaciuto il bonus per diciottenni, bene ma ora ci si deve spingere anche oltre».
Chi apprezza fra i manager della cultura?
«Ho trovato vincente l'idea di affidare la direzione dei musei a persone competenti, di conclamata esperienza. E se ne vedono i frutti. Gli anni in cui ero a Parigi e vedevo sponsor pagare 10mila euro a tavolo per cene al Louvre, mi chiedevo perché tutto questo non accadeva anche in Italia».
Se volessimo fare dei nomi?
«I direttori degli Uffizi, del Museo Egizio di Torino e di Brera. Non sono gli unici comunque».
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